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La traduzione addomesticante e la traduzione estraniante nelle teorizzazioni di Lawrence Venuti

Il concetto di invisibilità del traduttore

Vedo la traduzione come il tentativo di produrre un testo così trasparente da non sembrare tradotto. Una buona traduzione è come una lastra di vetro. Si nota che c'è solamente quando ci sono delle imperfezioni: graffi, bolle. L'ideale è che non ce ne siano affatto.
Non dovrebbe mai richiamare l'attenzione su di sé.
(Norman Shapiro, cit. in Venuti 1999: 21)


L'illusione della trasparenza è un effetto della scorrevolezza, lo sforzo del traduttore di rendere un testo facilmente leggibile aderendo al discorso corrente, mantenendo una sintassi continua, fissando un significato preciso. Un testo scorrevole rende il traduttore meno visibile, mentre rende l'autore e il testo originale più visibili.
In un mondo che non distingue più il campo scientifico-culturale da quello dell'arte e della letteratura ormai da due secoli, il discorso trasparente rappresenta oggi più che mai un mezzo di consumo, un oggetto facilmente vendibile.
Il traduttore britannico John Michael Cohen (1903-1989), uno dei più importanti traduttori in inglese moderno di alcuni classici della letteratura, nel 1962 a tal proposito argomentava che "i traduttori del XX secolo, influenzati dall'insegnamento della scienza e dall'importanza crescente dell'esattezza […] si sono in generale concentrati sul significato della prosa e sull'interpretazione, trascurando l'imitazione della forma e dello stile" (Venuti 1999: 27).

Il discorso scorrevole che crea l'illusione di trasparenza, canonizzato nell'ambito della traduzione anglosassone dalle esigenze di mercato e di vendibilità del prodotto letterario e scritto, ha generato quello che Venuti chiama il concetto di invisibilità del traduttore. Un processo per il quale colui che traduce arriva alla totale irriconoscibilità della propria identità, e la traduzione alla perdita dell'essenza propria che la caratterizza come opera che si distingue dal testo originale. La figura del traduttore
risulta quindi al giorno d'oggi indistinguibile agli occhi del lettore, e marginale a livello di critica letteraria e nell'ambito dei sistemi contrattuali.

I recensori moderni focalizzano infatti la loro attenzione sullo stile della traduzione, tralasciando il commento sull'accuratezza, sul target di pubblico che si intende raggiungere, sul valore economico della traduzione sul mercato, sul rapporto fra le tendenze letterarie, sul modo in cui una traduzione si colloca nel percorso artistico del traduttore. Essi considerano solo in rari casi la traduzione come scrittura.

Nel sistema contrattuale dei mercati letterari l'invisibilità del traduttore scaturisce dal fatto che i contratti anglosassoni standard hanno sempre richiesto a chi traduce la cessione del diritto d'autore all'editore. È per questo motivo che negli Stati Uniti la definizione contrattuale più comune del testo tradotto è "work-for-hire" (lavoro a cottimo). Sono rapporti di lavoro che portano a uno sfruttamento dell'opera del traduttore, il quale viene pagato con un compenso fisso calcolato a numero di parole tradotte, senza considerare i ricavi della vendita del testo e dei suoi diritti sussidiari (ad esempio la pubblicazione su un periodico, la licenza accordata a un editore di tascabili economici o l'opzione di una casa cinematografica). Una situazione che ha spinto i traduttori indipendenti a produrre numerosi lavori all'anno a scapito della qualità dei prodotti, e a mettersi gli uni contro gli altri per accaparrarsi i progetti o per la negoziazione delle tariffe.
Soltanto a partire dagli anni '80 i contratti hanno iniziato a mostrare un maggior riconoscimento della figura del traduttore, citandolo come "autore" o "il traduttore" e lasciando a suo nome il diritto d'autore. Di pari passo si è verificato un miglioramento delle condizioni economiche, visto che i traduttori hanno man mano ricevuto anticipi sui diritti d'autore (percentuale sul prezzo di vendita o su proventi netti) e una parte dei diritti sussidiari di vendita.
Sono comunque aumenti minimi e non applicati in tutti i casi, che non consentono ai traduttori di riuscire a mantenersi con la sola attività di traduzione: basti pensare che la tiratura abituale per una traduzione letteraria è di 5000 copie, considerando che pochissimi libri diventano dei best-seller è impossibile immaginare che un traduttore
percepisca qualcosa che vada oltre l'anticipo sui diritti d'autore. Ed è anche per questo motivo che indagini di mercato hanno mostrato che, se da un lato la produzione anglo-americana di testi dagli anni Cinquanta è quadruplicata, le traduzioni sono rimaste tra il 2 e il 4% delle pubblicazioni totali.

Il ruolo del traduttore rimane secondario anche nell'aspetto legale del sistema angloamericano per quanto riguarda il sistema di attribuzione del copyright.
La Convenzione di Berna (Parigi, 1971), che stabilisce il riconoscimento reciproco del diritto d'autore tra le nazioni, recita: "traduzioni, adattamenti, arrangiamenti di musica e di altre derivazioni di un'opera letteraria o artistica verranno protetti come opere originali senza pregiudizio per il diritto di autore dell'opera originale.. [in possesso dell'autore straniero, il quale] .. godrà del diritto esclusivo di creare e autorizzare la traduzione".
La traduzione è un "adattamento" di un testo originale, sul quale l'autore esercita il diritto d'autore e il diritto esclusivo di "preparare opere derivate" o "adattamenti". Il traduttore è dunque subordinato all'autore, che detiene i diritti sulla sua opera per tutta la sua vita più 50 anni dopo la sua morte. Tuttavia la stessa legge definisce la paternità letteraria come la creazione di una forma d'espressione, come originalità di linguaggio, lasciando così spazio all'interpretazione come atto di creazione di un'opera originale. Per cui secondo la legge sul diritto d'autore il traduttore è, e al tempo stesso non è, un autore (Venuti 1999: 31-32).

Come appena detto il concetto di paternità letteraria è quello secondo il quale lo scrittore versa nel testo i suo i sentimenti e i suoi pensieri, in un'autorappresentazione originale e trasparente non contaminata da fattori linguistici, sociali e culturali.
Questo principio determina due svantaggi per il traduttore: il suo prodotto viene visto come una falsa copia, e nel contempo esso deve cancellare il suo essere "falsa copia" cercando di produrre quella illusione di presenza originale per la quale il lettore prenda il testo tradotto per quello autentico.
Il concetto individualistico della paternità letteraria è talmente penetrante nel mondo della letteratura anglosassone da modellare a volte l'auto-percezione dei traduttori, i
quali tendono a psicologizzare il loro rapporto col testo straniero come in un processo di identificazione con l'autore.
L'americano Willard Trask (1900-1980), uno dei maggiori traduttori del XX secolo per la qualità e l'importanza culturale del lavoro svolto, affermava: "Quando scrivi un romanzo, […] ovviamente scrivi di persone o luoghi, di una cosa o di un'altra, ma ciò che stai facendo, essenzialmente, è esprimere te stesso. Invece, quando traduci non stai esprimendo te stesso. In realtà stai compiendo un'esibizione tecnica. […] Ho capito che il traduttore e l'attore devono possedere lo stesso tipo di talento. Entrambi prendono qualcosa che appartiene a qualcun altro e lo rifilano come qualcosa di proprio. Penso che sia indispensabile possedere tale capacità. Perciò, oltre all'esibizione tecnica, la traduzione implica un allenamento psicologico".

Anche il traduttore americano Norman Shapiro afferma di compiere nel suo lavoro un percorso psicologizzante: "credo di considerare me stesso in una sorta di collaborazione con l'autore, […] sicuramente il mio io e la mia personalità sono coinvolti nella traduzione, eppure devo cercare di rimanere fedele al testo originale in modo che la mia personalità non appaia" (Venuti 1999: 29).
Attraverso il processo psicologizzante compiuto dai traduttori in questa direzione, essi arrivano a perdere la loro identità originale, e di riflesso la loro traduzione perde la componente essenziale che la caratterizza, quella per la quale dovrebbe mostrarsi agli occhi del lettore come una manifestazione del "diverso", e non in una mera adesione al discorso originale.

Lawrence Venuti ha sottolineato come fino agli anni '70 i traduttori in lingua inglese non hanno sviluppato un discorso teoretico sulla funzione del loro lavoro. Senza tale consapevolezza è stato impossibile avviare una proficua conversazione sulla
traduzione che desse alla materia un ruolo significativo all'interno del mondo della cultura.
Secondo Venuti l'invisibilità del traduttore, generatasi a seguito di una tale mancanza di auto-coscienza critica, è un fenomeno che si può oggi combattere avviando un discorso culturale e artistico che evidenzi qual è la funzione del traduttore in questo preciso contesto socio-culturale. È necessario innanzitutto rivedere le pratiche di recensione: i traduttori devono mostrare la loro contrarietà di fronte all'indifferenza della critica nelle prefazioni delle loro opere, scrivendo saggi, rilasciando interviste, parlando alle conferenze librarie. Devono impegnarsi nella divulgazione delle proprie idee e nell'istituzione di scuole e corsi specializzanti sulla traduzione. Soprattutto non devono piegarsi al canone standard ma sostenere un tipo di traduzione che non sia semplicemente scorrevole e standardizzata, ma che metta in risalto i tratti culturali e linguistici del testo straniero. In questo modo il lettore riuscirà a distinguere l'intervento traduttivo sul testo straniero, e la figura del traduttore potrà essere vista e considerata al livello di quella di un autore. I traduttori contemporanei devono inoltre battersi per una revisione dei codici sociali, economici e legali che sminuiscono la loro professione. Il riconoscimento del diritto d'autore sulle traduzioni effettuate dovrebbe essere accompagnato da un livellamento economico al profitto dell'autore. E infine è indispensabile esigere la revisione del concetto individualistico di paternità letteraria, che ha spinto le pratiche traduttive ai margini della cultura angloamericana.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La traduzione addomesticante e la traduzione estraniante nelle teorizzazioni di Lawrence Venuti

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Boccali
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue e letterature straniere
  Relatore: Roberto Cagliero
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 61

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venuti
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