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Le emozioni distruttive. Occidente ed oriente a confronto

Le emozioni distruttive

Si definiscono emozioni distruttive quelle emozioni dannose a sé e agli altri (Wallace, 2002), che nascono come reazione a situazioni sociali (Flanagan, 2002). Nella tradizione filosofica occidentale si parla di emozioni morali, in quanto contribuiscono alla virtù, ed in quanto risultano fondamentali durante il processo di costruzione della vita morale dell'individuo. Si tratta di una gamma di emozioni che albergano in ogni soggetto e che possono rivelarsi tanto buone, quanto cattive (Flanagan, 2002).
Tra queste sono incluse: la rabbia, il disprezzo, l'indignazione, la paura, la felicità, la tristezza, l'amore, l'amicizia, il perdono, la gratitudine, il rimpianto, la vergogna, la colpa e la compassione.
In ambito buddista un'emozione è da considerarsi distruttiva quando provoca un danno ben più sottile, cioè quando distorce la percezione della realtà. Tale tipo di emozione, infatti, impedisce alla mente di riconoscere la realtà per quella che è, creando così uno iato tra apparenza ed essenza delle cose (Ricard, 2002).
Ritengo, invece, che in ambito occidentale si possa parlare di emozione distruttiva in relazione al concetto di coping analizzato nel precedente capitolo; da esso, infatti, si può dedurre che soggetti con scarsa capacità di fronteggiamento delle situazioni nocive, ovvero inattese, possono presentare una maggiore probabilità di nutrire un'emozione potenzialmente negativa, in quanto meno capaci di adattarsi all'ambiente in modo adeguato.
Questi stati emotivi compromettono la capacità di giudizio, oscurando le cose; ne consegue lo sviluppo di una limitazione della libertà individuale. Esistono, poi, le emozioni costruttive che sono fondate su un uso sano della ragione. Sono state riconosciute in due diverse forme, a seconda dalla motivazione che le anima: egocentrica o altruista, malevola o benevola (Ricard, 2002).

Nelle scritture buddiste esiste un elenco di ottantaquattromila tipi di emozioni negative, il cui numero elevato rifletterebbe la complessità della mente umana.
Possono, tuttavia, essere ridotte in cinque principali tipologie:

1. l'odio, inteso come desiderio profondo di nuocere a qualcuno e connesso ad altre emozioni, come il risentimento;

2. l'attaccamento, che si trova sul versante opposto e consta di varie sfaccettature, in quanto può essere inteso non solo come il desiderio per un oggetto che si vuole possedere ma, in maniera più sottile, come attaccamento al concetto di io od alla persona;

3. l'ignoranza che, per quanto in Occidente non venga intesa alla stregua di una vera e propria emozione, in ambito buddista è concepita come incapacità di distinguere tra ciò che va compiuto o evitato per raggiungere la felicità ed evitare la sofferenza;

4. l'orgoglio, concetto direttamente proporzionale all'incapacità di riconoscere i propri difetti, in quanto può indurre al disprezzo altrui;

5. la gelosia, intesa come incapacità di gioire della felicità altrui (Ricard, 2002).

Secondo la psicologia buddista tali emozioni sono relative sia al livello ampio della coscienza, che corrisponderebbe al funzionamento del cervello e all'interazione del corpo con la mente, sia al livello sottile della coscienza che, invece, corrisponderebbe al concetto di io, nonché alla facoltà introspettiva con cui la mente esamina la propria natura. Esse, invece, non arriverebbero alla coscienza più sottile perché, trattandosi di un'area pura e semplice, non si concentra su nulla di specifico. Quest'ultimo livello viene definito anche luminoso, in quanto renderebbe un soggetto consapevole, senza ricorso alcuno alle emozioni. Tale sarebbe la natura della condizione del Buddha (Ricard, 2002).
È possibile riuscire a liberarsi da questa gamma di emozioni a condizione che esse non siano radicate nella natura ultima della mente, ma poiché l'esperienza ci testimonia che la loro caratteristica è l'intermittenza, sarebbe possibile raggiungerne l'eliminazione (Ricard, 2002).
Inoltre, alla fonte delle emozioni distruttive risiede qualcosa che non è ancora dannoso, infatti acquisiscono una qualità negativa dal momento in cui, l'atto di aggrapparvisi suscita una reazione a catena, a partire dalla quale, poi, il pensiero iniziale si trasforma, per esempio, in rabbia, odio etc.
Per riuscire a combatterle è necessario intraprendere un percorso di trasformazione interiore che agisce a tre livelli:

• il primo è quello di ricorrere a degli antidoti, in quanto ne esisterebbe uno specifico per ogni emozione. Per esempio l'amore è quello specifico per la rabbia;

• il secondo livello consiste nell'attuazione della meditazione, attraverso cui sarebbe possibile indagare la natura intima di tutte le emozioni negative, mostrandoci come, in realtà, la loro base non sia così solida come sembra, ma vi sia piuttosto un vuoto interiore;

• il terzo ed ultimo livello è quello più rischioso. In esso si può riuscire a neutralizzarle orientando lo sguardo proprio verso quel loro vuoto interiore (Ricard, 2002).

La convinzione che liberarsi da tali emozioni crei uno stato di intorpidimento è del tutto priva di basi, poiché risulta vero il contrario. Quando la mente è libera, sviluppa una maggiore sensibilità verso la sofferenza degli altri, raggiungendo, così, una capacità di giudizio molto più raffinata; in tal modo sarà possibile raggiungere una forma di stabilità e di realizzazione interiore definita felicità.
Nel gergo buddista il termine di afflizione mentale viene usato come sinonimo di emozione distruttiva, poiché non esiste un termine che traduca esattamente quello che s'intende in Occidente con il concetto di emozione.
Nei testi buddisti le afflizioni primarie, da cui derivano tutte le restanti, comprese le cinque precedentemente citate, sono: la rabbia, il desiderio e l'illusione, cioè i tre veleni della mente. Se volessimo fare un parallelismo tra la psicologia buddista e la psicologia occidentale, rintracceremmo in entrambe il seguente collante: un individuo psicopatico o schizofrenico è in grado di mettere in atto dei comportamenti distruttivi, in quanto sofferente di una grave e profonda forma di illusione che non lo rende consapevole e cosciente, né della gravità dell'azione commessa, né delle possibili conseguenze che da essa possono scaturire (Dalai Lama, 2002).
La distinzione buddista tra stati mentali sani e non sani risiede nel fatto che i primi avvicinano il soggetto al risveglio spirituale, mentre i secondi lo ostacolano. In Occidente viene, invece, promossa un'opposizione tra piacevolezza e spiacevolezza emozionale, in dipendenza della conseguente sensazione positiva o negativa che ne deriva (Wallace & Ricard, 2002).
Se da un lato l'approccio scientifico si interroga circa le ripercussioni che un'emozione può avere verso un individuo che la prova, l'approccio buddista sostiene che essa sviluppi un intrinseco potenziale di distruttività nel momento in cui spezza l'equilibrio mentale soggettivo (Dalai Lama, 2002).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le emozioni distruttive. Occidente ed oriente a confronto

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Informazioni tesi

  Autore: Deborah Falzone
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Palermo
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Francesco Pace
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 58

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