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Legalità formale e amministrazione di risultato

Legalità formale - legalità sostanziale in una prospettiva filosofica: confronto tra l’etica deontologica e l’etica teleologica

Il confronto tra la prospettiva puramente formale e la prospettiva sostanziale del principio di legalità, ossia tra la logica procedurale e la logica del risultato, può essere sviluppato e approfondito all’interno di una riflessione non soltanto giuridica, ma anche etica e filosofica.
Da un punto di vista teoretico è infatti possibile ricondurre la distinzione tra le due concezioni del principio di legalità, formale e sostanziale, ad un’altra distinzione ormai divenuta classica nel pensiero filosofico: la distinzione tra l’etica deontologica e l’etica teleologica.
L’etica deontologica, di ispirazione kantiana, e l’etica teleologica di stampo aristotelico ripropongono infatti, in termini puramente teoretici, l’attuale dibattito giuridico relativo al processo di trasformazione da un tipo di amministrazione esecutrice di atti ad un tipo di amministrazione ispirata alla logica dell’efficienza del risultato. Al di là di queste opposte distinzioni, legalità formale/legalità sostanziale, e etica deontologica/etica teleologica, il problema che accomuna entrambe le dimensioni, giuridica e filosofica, è quello attualissimo di come coniugare il rispetto della legge con il perseguimento del fine o, se si vuole, di come rendere sostanziale la formalità legale e di come conservare il raggiungimento del risultato all’interno dell’alveo imprescindibile della legalità.
La riflessione etico-morale è una riflessione filosofica che ha per oggetto l’ambito della prassi, dell’agire, del comportamento dell’uomo. Si tratta quindi di una argomentazione pratica che si occupa sia del senso dell’agire umano, delle finalità e dei valori che lo guidano, sia della scelta dei mezzi più giusti in relazione a determinati scopi e al contesto in cui l’agire si svolge.
L’etica deontologica, che si fa risalire alla concezione kantiana, è anche definita come etica puramente formale del dovere: l’agire umano deve seguire e conformarsi alla legge morale assunta come imperativo categorico imprescindibile che discende direttamente da quella componente fondamentale su cui si fonda la dignità dell’essere umano e cioè la ragione. La ragione viene a configurarsi come legge morale unica e categorica poiché agire secondo ragione vuol dire agire secondo il dovere, cioè realizzare necessariamente il bene, il giusto. La ragione intesa come atto puramente razionale, proprio perché scevra da contenuti particolari, si fa garante della oggettività e universalità della morale e quindi del bene.
Il bene, in una concezione kantiana, consiste nel assolvere al proprio dovere, ossia, nel rispettare l’imperativo categorico dettato dalla ragione; l’uomo infatti è sia essere razionale che essere sensibile, può sia seguire l’impulso, che la ragione; in questa scelta razionale si fonda l’essere morale dell’uomo e del suo agire. In quest’ottica è allora evidente che non c’è una argomentazione sul “bene”, o meglio, su ciò che costituisce il bene: il “bene” è il semplice adempimento alla propria razionalità che viene assunta come principio universale, principio comune a tutti gli esseri umani che li connota di dignità morale. La legge morale, nella concezione deontologica kantiana, è un imperativo categorico assolutamente formale, non ha di vista nessun oggetto particolare, nessuno scopo determinato, perché sarebbe sempre l’espressione di un desiderio, di una volontà guidata da una passione e quindi di un agire non razionale.
La legge morale altro non è che la conformità dell’azione alla ragione; la ragione, nella prospettiva deontologica dell’etica, ci indica soltanto delle massime generali alle quali adeguare il nostro agire il quale deve essere guidato da principi universali come il rispetto della persona, intesa come fine, mai come mezzo, e l’uguaglianza, l’uguale considerazione di tutti gli uomini.
Questa concezione puramente formale dell’agire umano e della legge morale si ricollega chiaramente alla prospettiva formale del principio di legalità basata sul presupposto che la semplice esecuzione della legge realizzi necessariamente il fine proprio perché il fine viene filosoficamente pensato come già contenuto a priori nel principio iniziale e cioè nella norma.
In un’ottica giuridica, il rispetto delle regole è sicuramente garanzia della correttezza formale del procedimento e potenzialmente del raggiungimento di un risultato che è implicitamente contenuto nella ratio della norma, ma la mera applicazione delle norme non garantisce l’effettivo perseguimento del fine in termini di efficacia e qualità.
Dal punto di vista dell’etica deontologica e della legalità intesa in un’accezione puramente formale, la legge viene assunta come imperativo categorico che assicura l’universalità, la legittimità dell’agire e il fine da perseguire; ciò che però la prospettiva formale, sia dell’etica che della legalità trascura, è il contenuto di questo fine, la verifica del suo effettivo raggiungimento, e delle modalità di realizzarlo, sul presupposto che il rispetto formale del codice etico o legislativo assicuri sempre, e comunque, l’interesse della collettività.

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Legalità formale e amministrazione di risultato

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Informazioni tesi

  Autore: Carla Giaccaglini
  Tipo: Tesi di Master
Master in Master di II Livello in Innovazione nella Pubblica Amministrazione
Anno: 2006
Docente/Relatore: Elisa Scotti
Istituito da: Università degli Studi di Macerata
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 34

FAQ

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Parole chiave

amministrazione di risultato
etica deontologica
etica teleologica
legalità formale
legalità sostanziale
diritto amministrativo

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