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Sono solo canzonette? Il problema dell’autenticità nella popular music.

Il concetto di "autenticità artistica" nel rock'n'roll

Proviamo adesso ad osservare ancora più da vicino come questa costitutiva promiscuità del rock – presente fin dalla nascita del rock’n’roll e dunque ben prima dei fenomeni planetari del “pop” - sia collocabile in quelle che abbiamo visto essere due delle maggiori questioni che riguardano l’autenticità della popular music, e che abbiamo sintetizzato nelle coppie dicotomiche arte/commercio e arte/intrattenimento.
Quando parliamo di processi culturali può sembrare perfino tautologico sottolineare che si tratti di atti comunicativi. Perfino quando la comunicazione sembra ridursi a un circolo autoreferenziale, o quando ci appare negata - come in 4’33” di John Cage; o ancora, quando essa è volutamente disturbata, come farà provocatoriamente il punk, in tutti questi casi assistiamo a dei tentativi, più o meno coscienti, più o meno cercati, di stabilire un contatto con l’ “altro”. Tuttavia possiamo sostenere che, il radicale cambiamento d’approccio che porta con sé il rock’n’roll, e che tuttora vediamo in svolgimento, in fondo consista nella ricerca sistematica e organizzata di questo contatto col pubblico. Detto altrimenti, in ogni processo di comunicazione c’è sempre il presupposto, più o meno esplicito, all’esistenza di un “altro”, di un pubblico, ma la novità della popular music sta nel fatto di porre questo presupposto non solo come condizione necessaria affinché ci sia comunicazione, ma il motivo principale d’ispirazione.
Il fatto che tale approccio sia motivato, dal punto di vista dell’industria, dalla possibilità di realizzare profitti grazie all’enorme schiera di nuovi consumatori, va di pari passo, come ha sostenuto anche Castaldo, con l’opportunità per l’artista di raggiungere una platea di giovani fans che fino a una decina d’anni prima era inimmaginabile. Per cui la stessa riproducibilità tecnica e la discografia non sono tanto – o solamente – un meccanismo di costrizione che obbliga artisti a produrre arte a ritmo industriale, che tramuta il processo di creazione artistica da un atto ispirato a una coazione a ripetere; essa è una possibilità che il rock conosce fin dalla sua nascita - che riguarda gli artisti più genuini e “autenticamente” ispirati quanto quelli più sensibili alle sirene del profitto ad ogni costo - e senza la quale non sarebbe divenuto quel fenomeno planetario che conosciamo. Una possibilità che può in ogni momento diventare qualcos’altro, ma che non possiamo ignorare: il fatto che alcuni artisti abbiano come scopo solo il profitto e siano così disposti ad adattarsi pedissequamente alle richieste della propria casa discografica anziché instaurare una dialettica costruttiva, porta molti a concludere che dietro ad ogni successo commerciale ci sia un approccio di questo tipo.
Il fenomeno del rock’n’roll rende subito evidenti le contraddizioni che caratterizzano la divisione del lavoro nel settore industriale; ciononostante può essere difficile comprendere pienamente la dinamica che sta prendendo forma: i protagonisti musicali di questa rivoluzione culturale sono, in sostanza, dei “dipendenti a contratto” delle case discografiche, dunque sono in tutto e per tutto organici a una parte del sistema che – per ora implicitamente – stanno iniziando a combattere. Da questo momento in poi, quindi, il concetto di autenticità artistica diventa assai difficile da inquadrare, poiché nell’artista si fanno sentire simultaneamente almeno due voci: quella della propria vena artistica e quella del “padrone” discografico. Il dato interessante è che per quanto queste possano anche non coincidere, esse sono costrette, nella realtà, a convivere visto che tutto sommato perseguono lo stesso scopo, che è quello di farsi accettare da pubblico e media. Il conflitto sul come perseguire tale obiettivo – su cosa si debba proporre - prenderà contorni più definiti col crescere della consapevolezza degli artisti di rappresentare molto di più di una mera forma di intrattenimento per i milioni di ragazzi che acquistano i loro dischi, o che si accalcano ai cancelli per guadagnare le prime file ai loro concerti.
Per quanto concerne l’addomesticamento degli elementi “nativi” – quelli neri del rythm’n’blues – si potrebbe dire che è un prezzo che il rock paga inizialmente per farsi accettare da un sistema e da un pubblico che non erano pronti ad accettare strappi che fossero stati ancora più netti. Nonostante questo, nonostante cioè l’apparente innocuità di testi frivoli, come ad esempio quello della Shake, Rattle and Roll “bonificata” da Haley, i primi rock apportano già alla scena popular dominata allora dai crooner e dai motivetti canzonettistici un cambiamento qualitativo notevole, e se è vero che non si può ancora parlare di un rock pienamente cosciente del proprio ruolo di apripista della ribellione culturale, questo giudizio è dovuto – oltre alla parte di verità che è insita in tale affermazione – anche dalle lenti con cui siamo soliti osservare il fenomeno, le quali ci portano spesso a sottovalutare la rilevanza sociale di tutte quelle forme musicali collocate fuori dal perimetro della musica “seria” e accostabili all’intrattenimento. Infatti, come si vedrà più avanti, nella cultura afroamericana non esiste una separazione così netta tra ciò che è “intrattenimento” e ciò che è definibile come “impegno”, ed è per tale ragione che questa cultura sarà capace di portare nel proprio grembo i germi di una musica nuova, che è capace di contenere entrambe le istanze.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Sono solo canzonette? Il problema dell’autenticità nella popular music.

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Informazioni tesi

  Autore: Enrico Colca
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Comunicazione strategica
  Relatore: Silvia Pezzoli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 231

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