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Il supporto alla genitorialità nelle famiglie migranti. L'esperienza genovese.

Le difficoltà di avvicinamento ai servizi per le famiglie migranti: paure ed ostacoli nell’esperienza genovese

Affrontare e curare la sofferenza di famiglie che sono state segnate da storie dolorose e multitraumatiche, compito di per sé difficile e delicato, diventa ancora più complesso nel momento in cui le differenze culturali interferiscono con la comprensione della genesi della sofferenza e con la possibilità di utilizzare gli strumenti clinici a disposizione.

Con tali affermazioni le psicoterapeute dell’ASL Città di Milano, iniziano un articolo che tratta la difficoltà di approccio con i nuclei familiari migranti, da parte degli operatori dei servizi socio – sanitari a cui essi si riferiscono.

Esse descrivono le tipologie di famiglie che nella maggioranza dei casi si accostano ai servizi socio sanitari per una richiesta di aiuto. I servizi di primo approccio sono generalmente quelli sanitari poiché i bisogni più frequenti riguardano l’assistenza ginecologica o pediatrica, come ci spiega la continuazione dell’articolo sopracitato:

[...]questi nuclei sono essenzialmente composti da bambini molto piccoli e dalle loro madri che giungono in Italia già in stato di gravidanza oppure, più spesso, rimaste incinte dopo relazioni più o meno stabili con altri stranieri o con uomini italiani [...]

Le donne di cui si tratta sono madri che vivono una condizione di sofferenza a causa della solitudine e della mancanza di mezzi necessari per il sostentamento della propria prole e di loro stesse, per di più, sovente non possiedono alloggio né lavoro; inoltre la figura del compagno/marito di solito non è rintracciabile.

In questi casi l’iter di segnalazione pare invariato sia sul territorio milanese sia su quello genovese, infatti gli operatori socio sanitari, che per primi vengono a contatto con queste donne, hanno il dovere di segnalarle all’autorità giudiziaria competente, la quale nel caso vi sia condizione di pregiudizio per il minore, equivale al tribunale per i minorenni.

L’intervento del servizio sociale è conseguente al mandato emesso dall’autorità giudiziaria, che detta le prescrizioni per la redazione della relazione sociale contenente le informazioni sul nucleo familiare e l’eventuale valutazione delle competenze genitoriali, essendo questi dati indispensabili per l’elaborazione di un progetto di intervento.

Tuttavia agli occhi di una donna straniera, l’intervento delle istituzioni può risultare invasivo e talvolta persecutorio, non essendo a conoscenza del sistema culturale del Paese ospitante e soprattutto della funzione di garanzia e di protezione che caratterizzano l’autorità giudiziaria e i servizi. La paura di essere giudicate e di spezzare il legame con il proprio figlio porta spesso queste donne a mantenere una distanza dal servizio, avvicinandosi ad esso solo in condizioni di estremo disagio, non consentendo in tal modo agli operatori di elaborare un intervento di supporto alla maternità e alla futura genitorialità adeguatamente strutturato.

La gravidanza e il momento della nascita di un figlio sono eventi di grande vulnerabilità per ogni donna; tali condizioni aumentano la loro complessità nel caso in cui debbano essere affrontate in un Paese straniero, richiedendo "il confronto con i propri legami affettivi e la riapertura della problematica della filiazione e dell’identit".

Il confronto con gli schemi culturali e le rappresentazioni della realtà caratteristiche del Paese d’origine, costringe queste donne a fare i conti con il proprio passato e con le figure genitoriali interiorizzate, nel difficile contesto di mancanza di una rete di supporto familiare, amicale e sociale.

Alla sensazione di fallimento del progetto migratorio, pensato inizialmente, si aggiungono sensi di colpa e di vergogna nelle donne appartenenti alle culture per le quali la gravidanza fuori dal matrimonio è accompagnata dall’esclusione e dallo stigma sociale, ad esempio per le donne provenienti da India e Sri Lanka.

L’insieme di queste circostanze, interne ed esterne, facilita la riattivazione di precedenti traumi, dei quali quello migratorio è uno degli ultimi e non il più doloroso, e si creano dei meccanismi riguardanti i legami con il bambino, segnati da una profonda ambivalenza, simili alle dinamiche che si attivano anche nei nuclei familiari italiani.

Da un lato il figlio in concreto rappresenta per queste donne “un’ancora di salvezza”, ossia il punto di contatto con il servizio, che permette di avere il sostegno, anche dell’assistente sociale, per quanto riguarda il permesso di soggiorno, la collocazione in un alloggio adeguato e il reperimento di una attività lavorativa. Dall’altro, il bambino, è anche l’unica persona con cui si possa condividere l’appartenenza al proprio Paese d’origine e soprattutto la speranza di un avvenire diverso e migliore.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il supporto alla genitorialità nelle famiglie migranti. L'esperienza genovese.

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Nakchi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Scienze del servizio sociale
  Relatore: Maria Rosa Spallarossa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 96

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