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L'orientamento dalla teoria alla pratica - L'esperienza dell'InformaGiovani

Il colloquio di orientamento

Come afferma Pombeni (1996), nel suo testo Il colloquio di orientamento, è importante che l'orientatore sappia quale percezione un individuo possiede delle proprie capacità, in particolare quando si tratta di portare a termine un compito e di affrontarlo. Questa capacità viene definita self-efficacy ed incide sulla variabilità dell'intervento orientativo.
Il concetto di self-efficacy si integra e rafforza con quello di locus of control, ovvero quel processo di attribuzione di causalità del proprio comportamento quindi dal fatto che la persona percepisca ciò che succede come più o meno influenzato dalla propria autodeterminazione.
Questo fattore e di rilevante importanza poiché permette di individuare quanto la persona si senta attiva/passiva nel proprio percorso, quanto sia capace di influenzarne l'andamento sentendosi responsabile di esso. L'intervento dell'orientatore consiste nel saper sostenere la persona proprio in questa fase di sforzo di ricerca di equilibrio e adattamento, poiché chi chiede aiuto, non è riuscito ad agire autonomamente. Per essere di sostegno e necessario che il consulente sappia comprendere a fondo il vissuto della persona con cui si trova in relazione affinché possa aiutarla nell'evolvere personalmente in un suo migliore adattamento sociale (Mucchielli, 1994).
Lo strumento operativo più funzionale a questo scopo (e nella metodologia globale per gestire le relazioni d'aiuto) e stato individuato nel colloquio, più precisamente in quello definito non direttivo (o centrato sulla persona) (Rogers, 1977). E' utile distinguere il colloquio non direttivo da altri tipi di interazione verbale quali per esempio la conversazione, la discussione, l'intervista, l'interrogatorio oppure la confessione, le quali hanno diverso obiettivo e modalità di sviluppo (Mucchielli, 1983).
Il colloquio non direttivo è stato specificatamente contrapposto a quello di tipo direttivo: infatti, la prima differenza fondamentale e nella scelta dei fini che il soggetto deve perseguire. Nel colloquio direttivo infatti è il consulente a definire quale sia l'obbiettivo da raggiungere e il suo compito è aiutare la persona a portarlo a termine, ponendosi così in una posizione di superiorità, senza ritenerlo in grado di assumersi la responsabilità nell'azione orientativa.
Questo ultimo approccio non permette dunque di attribuire un alto valore all'indipendenza psicologica di ogni individuo e tende a procedere verso un conformismo sociale.
L'obiettivo finale della persona potrebbe perciò non corrispondere con quello del consulente.
All'operatore viene richiesto di dimostrare un aperto interesse nei confronti del proprio interlocutore, dunque una disponibilità integrale libera da pregiudizi, insieme ad un'intenzione autentica di comprendere l'altro nel suo linguaggio e nella sua esperienza di vita attraverso uno sforzo continuo per restare centrati sull'obiettivo e osservare tutti i messaggi impliciti ed espliciti che passano attraverso la relazione. Nella comunicazione infatti, il consulente deve saper prestare particolare attenzione anche al doppio registro, ovvero quanto viene detto ma anche quanto non e detto, quindi il contenuto esplicito e implicito del messaggio, con la consapevolezza che i due modi di comunicare possono concordare ma anche contraddirsi (Pombeni, 1996). I giudizi, approvazioni e disapprovazioni, in generale ogni tipo di valutazione, rappresenta un ostacolo alla comprensione del problema ed alla comunicazione interpersonale (Evangelista, 2006).
Infine, il colloquio non direttivo si può definire come strumento privilegiato per l'orientamento anche se in linea generale il consulente dovrà comunque mantenere una linea semi-direttiva in quanto è necessario fare riferimento ad un canovaccio di percorso (una griglia) per strutturare la relazione e allo stesso tempo lasciare margine al soggetto.
L'orientatore deve quindi creare le condizioni affinché l'interlocutore possa sviluppare la sua auto-direzione e riconoscere i propri sentimenti, atteggiamenti e comportamenti, incoraggiandolo a parlare apertamente. Per perseguire questo fine l'orientatore può chiarire il contenuto della conversazione attraverso la tecnica della riformulazione, che costituisce una modalità base del colloquio d'aiuto.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'orientamento dalla teoria alla pratica - L'esperienza dell'InformaGiovani

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Informazioni tesi

  Autore: Stefania Cherubini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Giuseppina Speltini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 52

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