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Stereotipi nella rappresentazione del sud, lo sguardo del cinema negli anni cinquanta

Il documentario sulla strada di De Martino

Si deve a De Martino l’indicazione di una stretta collaborazione tra ricerca scientifica e impiego del mezzo filmico a suo sostegno, esigenza già sentita e realizzata da tempo in diverse nazioni d’Europa e degli Stati Uniti. È noto come in quegli anni nel Mezzogiorno oltre a De Martino ci fossero altre inchieste di antropologi stranieri, nordamericani soprattutto (Friedmann più che Banfield), ma anche francesi e di altre nazionalità. L’analisi culturale del Mezzogiorno elaborata da De Martino era un argomento che raccoglieva l’interesse del documentarismo etnografico. La produzione dei documentari etnografici demartiniani si concentra tra la fine degli anni Cinquanta e il primissimo inizio degli anni Settanta, e può essere suddivisa in due periodi: il primo, di cui noi ci occuperemo, caratterizzato dalla presenza di De Martino (che morì nel 1965), con una prevalenza di argomenti circoscritti entro il suo campo di interessi: lamento funebre, rituali magici e tarantismo; il secondo successivo alla morte dell’antropologo. In genere, nel documentario etno-antropologico compaiono fenomeni di tradizionale economia agro-pastorale, argomenti che per la maggior si prestano vistosamente ad essere spettacolari. In questa produzione etnografica sono quasi del tutto assenti i filmati relativi all’insediamento, alla cultura materiale, alle tecniche di lavoro, ai comportamenti sociali, all’alimentazione, fatti evidentemente meno spettacolari. Il primo documentario etnografico demartiniano, Lamento funebre di Michele Gandin (1953), già autore di un documentario sulla Lucania di Levi dal significativo titolo Cristo non si è fermato a Eboli, doveva essere inserito in un progetto di De Martino, che contribuì con la sua consulenza scientifica; si sarebbe trattato della prima voce di un’“enciclopedia cinematografica” che non sarà mai realizzata. Passeranno cinque lunghi anni per veder realizzato il primo di una lunga serie di documentari etnografici, quel Magia lucana ,uscito nel 1958, del regista Luigi Di Gianni, al suo esordio in quello che sarebbe diventato il campo specifico della sua attività. Realizzato con il patrocinio del neonato Centro Etnografico e Sociologico e del Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Roma, il mediometraggio vinse il primo premio per la sezione documentario al Festival di Venezia dello stesso anno. Di Gianni racconta come ebbe l’idea per realizzare dei lavori sugli argomenti studiati nella spedizione demartiniana: "Da bambino, quando avevo nove anni, mio padre mi aveva portato lì [in basilicata, terra di origine della famiglia] ed ero rimasto colpitissimo perchè era un mondo ancora remoto ed arcaico; mi aveva molto affascinato."

Questo brano è tratto dalla tesi:

Stereotipi nella rappresentazione del sud, lo sguardo del cinema negli anni cinquanta

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Informazioni tesi

  Autore: Nicola Donadio
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze storiche
  Relatore: Paolo Capuzzo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 57

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