Marx interprete di Democrito e di Epicuro

"Alla filosofia greca sembra capitare ciò che capitare non deve ad una buona tragedia: un finale fiacco": così esordisce Marx nel primo capitolo della prima parte, riservato ad illustrare l'argomento della trattazione.
L'intento di Marx è quello di capire come mai, dopo aver toccato la vetta più alta con le metafisiche di Platone e Aristotele, la filosofia greca si sia chiusa con tre scuole - l'epicurea, la stoica e la scettica - di chiara impronta soggettivistica che, invece di far riferimento ai grandi insegnamenti platonici e aristotelici, si rivolgono ai filosofi naturalisti, per quanto riguarda la fisica, e alle scuole socratiche, per ciò che concerne la sfera etica. È proprio questo "nesso con la speculazione precedente" che Marx cerca di individuare, prendendo come esempio il rapporto tra la filosofia naturale di Democrito e quella di Epicuro.
Ponendosi in un certo senso contro la tradizione classica, patristica e moderna3, le quali tutte vedono in Epicuro un "plagiario" di Democrito, Marx offre una lettura singolare delle filosofie dei due pensatori e giunge a scovare un enigma che, a suo parere, è ancora rimasto insoluto. Nonostante i principi - atomi e vuoto - siano gli stessi tanto per Democrito quanto per Epicuro, ci troviamo di fronte ad una strana situazione: "due filosofi inseguono l'identica dottrina, nell'identica maniera, ma -quale incongruenza! -essi sono diametralmente opposti l'uno all'altro in tutto ciò che riflette verità, certezza, applicazione della dottrina e, in generale, rapporto tra pensiero e realtà".
Così Marx cerca di provare questa sua tesi, e lo fa confrontando Democrito ed Epicuro: in generale nella prima parte dell'opera; più nel particolare nella seconda.