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Il Partito Socialista Italiano di fronte alla nascita del terrorismo (1969-1974)

Lo scioglimento delle Camere e il ritorno delle Brigate Rosse

Dopo l'elezione di Leone alla presidenza della Repubblica la rottura tra Democrazia Cristiana e Partito Socialista si consumò definitivamente; la sconfitta del PSI nella corsa al Quirinale accentuò, inoltre, le divisioni all'interno del partito stesso: la corrente di Bettino Craxi si riunì a convegno, quella di De Martino ne preparò un altro. Queste iniziative di corrente si accelerarono in vista del previsto congresso nazionale, che fu poi rinviato per la crisi di governo e le conseguenti elezioni anticipate.
Nei primi giorni del gennaio del 1972, infatti, il PRI di La Malfa si ritirò dalla maggioranza, rimproverando al governo la non adozione di una politica limitativa della spesa pubblica, provocando, in questo modo, le dimissioni del governo Colombo. Il leader del Partito Repubblicano sperava di ottenere nuovi consensi dal ricorso alle urne trovandosi in un trend elettorale favorevole.
In quel periodo incombeva, per giunta, il referendum sul divorzio, voluto più dai gruppi integralisti della DC, ansiosi di un recupero elettorale e politico sulla destra, che dal Vaticano stesso. Il referendum si sarebbe dovuto tenere nella primavera del '72 e ad esso tutti i partiti erano contrari, ad eccezione del MSI e del Partito Radicale, oltre al gruppo del Manifesto.
Il neopresidente Leone il 16 febbraio conferì a Giulio Andreotti l'incarico per un monocolore con l'appoggio esterno del Partito Liberale; già in avvio di consultazioni si rese palese il fatto che il nuovo esecutivo non avrebbe beneficiato della maggioranza: puntualmente il 26 febbraio venne battuto al Senato. Il capo dello Stato seguì immediatamente i dettami dei quadri del suo partito (la DC): non tentò nessun'altra strada e sciolse anticipatamente le Camere per la prima volta nella storia della Repubblica italiana.
Fu proprio in questo periodo che ebbe luogo il primo sequestro di persona delle Brigate Rosse, ai danni dell'ingegner Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit Siemens. Il sequestro rappresentò il culmine delle attività di inizio anno del gruppo di Curcio: precedentemente, infatti, le BR incendiarono macchine di dirigenti del MSI a Milano e a Quarto Oggiaro (rispettivamente il 20 gennaio e il 19 febbraio); lanciarono un ordigno contro il sindacato autonomo SIDA a Torino il 18 febbraio; fecero irruzione nella villa del segretario del MSI, sempre nel capoluogo piemontese, il 27 febbraio, e nella sede del partito missino di Cesano Boscone, nei pressi di Milano, il 13 marzo. Queste azioni non vennero minimamente menzionate sugli organi di stampa a tiratura nazionale, passando quasi del tutto inosservate.
Non fu così per l'azione messa in piedi il 3 marzo 1972: nel tardo pomeriggio, alle ore 19, un commando BR (tre uomini in tuta blu, giubbotto, volto coperto da passamontagna) sequestrò Idalgo Macchiarini. Il dirigente della Sit Siemens uscì dall'azienda e si diresse in una via laterale per prendere l'auto: gli furono subito addosso in tre, lo colpirono con calci e pugni, lo sollevarono di peso e lo gettarono dentro un furgone; mentre il mezzo si avviò i sequestratori misero le manette all'ostaggio e legarono le caviglie dello stesso con una corda. Dopo essersi fermati in una strada di periferia, gli appesero al collo un cartello e lo fotografarono; poi fu lasciato andare dopo avergli intimato di lasciare la fabbrica. Il cartello appeso al collo del malcapitato lo definiva un "fascista, processato dalle BR", e continuava così: "I proletari hanno preso le armi, per i padroni è l'inizio della fine". Nel volantino di rivendicazioni il sequestrato venne definito "un tipico neofascista: un fascista in camicia bianca e cioè una camicia nera dei nostri giorni". Precisato che il dirigente era "in libertà provvisoria" il volantino si concludeva con le parole d'ordine: "Mordi e fuggi! Niente resterà impunito! Colpiscine uno per educarne 100! Tutto il potere al popolo armato".
Le reazioni al sequestro da parte dei vari giornali appartenenti all'area della sinistra estrema furono diversificate: "Avanguardia operaia", organo del gruppo omonimo, riferendosi alla frase di chiusura del volantino delle BR, parlò di "scritta dallo stile assai poco familiare al movimento operaio". Le BR replicarono che la frase "Mordi e fuggi!" fu insegnata a Guevara e a Castro" dal loro maestro di guerriglia Bayo, già generale della Repubblica della guerra di Spagna"; che la frase "la professione di boia sta diventando una professione rischiosa perché i proletari seguono la regola: castiga uno, educane 100" fu di Lenin, che la enunciò addirittura nel 1905. La posizione di Avanguardia operaia si differenziò dalle altre: "Il Manifesto" non menzionò l'episodio, mentre "Lotta Continua" approvò: "Nella mattinata un corteo all'interno della fabbrica aveva cercato di raggiungere l'ufficio di Macchiarini. Noi riteniamo che questa azione si inserisca concretamente nella volontà generalizzata delle masse di condurre la lotta di classe anche sul terreno della violenza e dell'illegalità". A sua volta "Potere operaio" scrisse: "Un commando operaio è passato, per la prima volta nella storia della classe operaia italiana, a un sequestro. Sembra che nella storia della classe operaia milanese, che oggi è all'avanguardia nel movimento complessivo, l'articolazione fra azione di massa e azione di avanguardia risulti ormai un fatto acquisito".
L'episodio ebbe comunque ampia eco anche ad altri livelli: la Sit Siemens era un'impresa pubblica ed espressero la propria indignazione il ministro delle Partecipazioni statali, il leader DC Flaminio Piccoli, e il presidente dell'Iri, Giuseppe Petrilli. I quotidiani dei due principali partiti di sinistra tennero invece dei comportamenti differenti: "l'Unità" parlò di "banditesca provocazione alla Sit Siemens" e definì le BR "una fantomatica organizzazione che si fa viva in momenti di particolare tensione sindacale nel tentativo di far ricadere sui lavoratori e i sindacati la responsabilità di iniziative che nulla hanno a che vedere col movimento operaio e le sue lotte". Nei giorni immediatamente successivi al verificarsi dell'evento il quotidiano socialista l'"Avanti!" non menzionò l'episodio; lo fece con un breve articolo solo il 9 marzo dopo l'invio all'ANSA, da parte delle BR, della foto che ritraeva l'ingegnere con due pistole puntate al viso e il cartello appeso al collo. L'"Avanti!" scrisse: "La foto è arrivata in una busta spedita la sera di lunedì insieme con un volantino identico a quelli lasciati dai brigatisti rossi (in realtà neri) accanto al furgone dove venne consumato il processo di stile squadrista. Naturalmente la foto è comparsa subito in prima pagina del quotidiano filofascista "La Notte". La redazione dell'articolo fu dovuta anche al fatto che undici membri appartenenti all'esecutivo milanese di "Lotta Continua" furono indiziati per istigazione a delinquere e apologia di reato per il commento al sequestro dell'ingegnere della Sit Siemens. Il quotidiano del PSI commentò:

""Lotta Continua" – con un comunicato che vogliamo sperare dovuto soltanto ad ingenuità politica – ha fatto il gioco dei provocatori. Partendo dal gesto dei brigatisti rosso-neri, si arrivava a un giudizio sulla "volontà generalizzata delle masse di condurre la lotta di classe anche sul terreno della violenza e della illegalità". "Lotta Continua" come tutti gli altri gruppi extraparlamentari, ha sempre denunciato le "brigate rosse" come provocatori fascisti. Soltanto che le affermazioni del comunicato, messe insieme con l'aggressione del dirigente della Sit Siemens, hanno offerto il pretesto per una denuncia che contribuirà certo ad alzare un gran polverone di equivoci. Il solito gioco. I fascisti camuffati sotto etichette populiste (le "brigate rosse" come "Lotta di popolo") lanciano il sasso. Nella confusione si cerca sempre di far ricadere il discredito a sinistra. Le "brigate rosse" fanno saltuariamente la loro comparsa (un po' come le SAM) da più di un anno a questa parte. Fecero parlare di loro al tempo dell'incendio dei copertoni sulla pista di prova della Pirelli a Lainate: fu quella l'occasione per una indiscriminata ondata di persecuzioni e perquisizioni contro lavoratori e sindacati".

Ancora una volta il PSI, e più in generale l'area politica di sinistra, disconobbe la matrice di sinistra e marxista-leninista del gruppo di Curcio e Franceschini, bollando come provocatori fascisti i membri della loro organizzazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Partito Socialista Italiano di fronte alla nascita del terrorismo (1969-1974)

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Informazioni tesi

  Autore: Fabio Cianca
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Anna Scarantino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 152

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Parole chiave

terrorismo
partito socialista italiano
strategia della tensione
psi
anni '70
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