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Elementi di politica energetica nella Russia post-sovietica

La Russia e l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec)

L’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) venne creata nel 1960 per proteggere gli interessi economici dei propri membri nel mercato mondiale del petrolio, dove all’epoca vigeva il cartello delle maggiori compagnie petrolifere, le cosiddette “sette sorelle”. Attualmente l’Opec conta tra i suoi membri 12 paesi produttori di petrolio provenienti dall’Africa (Algeria, Angola, Libia, Nigeria), dal Medio Oriente (Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) e dal Sud America (Ecuador, Venezuela). Le riserve provate di petrolio dei membri dell’Opec ammontano al 77 % del totale mondiale, mentre la quota di estrazione di petrolio sul totale mondiale potrebbe raggiungere il 50% entro il 2030. Per proteggere gli interessi economici dei propri membri, l’Opec attua la cosiddetta “politica delle quote”, ossia vengono stabilite delle quote di estrazione di petrolio per ogni paese membro.
L’Opec mantiene contatti con altre organizzazioni internazionali tra cui anche l’International Agency of Energy, seppure a livello non ufficiale. Non essendone la Russia parte, malgrado la partecipazione ad attività dell’Organizzazione in qualità di paese osservatore, ne discende che il Cremlino non sarebbe vincolato al rispetto delle quote fissate dall’Opec e di conseguenza sarebbe libero di decidere autonomamente la propria politica di estrazione e commercio del petrolio. Tale autonomia rappresenta sicuramente un enorme vantaggio di competizione nelle mani di Mosca rispetto al cartello petrolifero, ed è nell’interesse di questo mantenere buoni rapporti con essa. Ciò nonostante, il paese si adegua solitamente alle decisioni prese a Vienna; un’importante occasione di collaborazione tra le due parti è l’annuale Settimana del petrolio e del gas russo a cui partecipano regolarmente i rappresentati dell’Opec. In realtà, la situazione merita qualche attenzione maggiore: la Russia soffre per l’incapacità di adeguare rapidamente la produzione alle istanze dell’organizzazione; questo è direttamente correlato al fatto che il paese ha scarsa capacità in quanto a riserve strategiche di idrocarburi. Gli analisti hanno osservato che se il Cremlino avesse riserve strategiche di petrolio pari a quelle degli Usa (circa 700 milioni di barili), allora potrebbe adattarsi senza difficoltà ai repentini cambiamenti del mercato. Fallendo tale obiettivo, il Cremlino non può sperare di sfidare la potenza energetica dell’Arabia Saudita. Possiamo enumerare tre ragioni per cui Mosca non è in grado di minare il primato nel lungo periodo di Ryad; la prima riguarda la tendenza di utilizzare tutta la propria capacità produttiva, nel senso che l'industria russa consuma quantitativi sproporzionati di energia, penalizzata anche da sprechi ed inefficienze colossali; inoltre, si ricorda che molti giacimenti in Russia si trovano in aree del tutto proibitive per il clima e per i trasporti, da cui discendono alti costi di estrazione (l’Arabia Saudita ha al contrario dei costi di produzione nettamente inferiori; infine, il Cremlino non ha ancora raggiunto lo status di top player nel campo dell’oro nero, anche perché, malgrado una posizione geopolitica di rilievo, non è un attore a livello globale in tale mercato. Prova ne è che il maggiore acquirente di greggio russo è l’Europa, nonostante si stia gradualmente aprendo per Mosca il mercato cinese, con la realizzazione dell’oleodotto “East Siberia Pacific Ocean”, che dalla regione di Irkutsk trasporta petrolio fino a Vladivostok e da qui alla Cina nord-orientale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Elementi di politica energetica nella Russia post-sovietica

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Informazioni tesi

  Autore: Emanuele Casarin
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Scienze Sociali
  Corso: Scienze Statistiche ed Economiche
  Relatore: Francesco Petrini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 150

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