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Posizioni para-apicali e modelli organizzativi (nel sistema della responsabilità degli enti da reato)

I soggetti c.d. "para–apicali" e la figura del collaboratore esterno

L'art. 5, comma 1 lett. b) individua la seconda categoria di persone fisiche dalla cui commissione di reati presupposto deriva la responsabilità "da reato" dell'ente qualificandole come "sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lett. a)", mentre è possibile ravvisare una loro definizione per via indiretta attraverso le indicazioni date dall'art. 25-tre, che consente di individuare la categoria in questione in tutti quei soggetti che siano sottoposti alla vigilanza di amministratori, direttori generali o liquidatori.
Con riferimento alla precisa individuazione delle figure che vi si possono far rientrare, esiste un primo orientamento -peraltro minoritario - che tende a dare un'interpretazione minima alle disposizioni appena ricordate e che di conseguenza fa coincidere la figura dei sottoposti con i prestatori di lavoro subordinato come delineati dagli artt. 2094-2095 c.c. 
Un ulteriore indirizzo interpretativo "restrittivo", come già accennato, ritiene invece che per la qualificazione c.d."para-apicale" venga in rilievo soltanto quel soggetto che si trovi ad essere il "sottoposto immediatamente a ridosso del vertice o comunque in posizione assimilabile dal punto di vista funzionale".
E' tuttavia innegabile che al riguardo prevalga un'interpretazione "estensiva" secondo cui l'appartenenza formale del sottoposto all'organizzazione aziendale è sì condizione normale, ma ciò non esclude tuttavia la rilevanza di situazioni in cui determinati incarichi siano affidati a soggetti esterni (i c.d. collaboratori esterni), tenuti a dare ad essi esecuzione sotto la direzione e il controllo di soggetti "apicali" dell'ente.

Ciò che conta dunque per ricondurre un soggetto esterno alla categoria dei sottoposti non è tanto il saperlo inquadrato in uno stabile rapporto subordinato, quanto il riscontrare che l'ente risulta impegnato dal compimento di un'attività destinata ad esplicare i suoi effetti nella sua sfera giuridica: è chiaro poi che tali figure debbano essere pur sempre sottoposte alla direzione e vigilanza degli "apici" tanto da perdere parte della loro autonomia a favore dell'ente ed essere legate a quest'ultimo da una qualche forma di rapporto contrattuale. Nell'individuazione precisa delle stesse, oltre a quella classica dell'agente, tipicamente sottoposto al potere di direzione del preponente, si possono richiamare anche quella del concessionario di vendita, dei franchisees, dei partners in operazioni di joint-ventures e dei prestatori di lavoro autonomo quali liberi professionisti. Come si può ben notare, le figure così delineate grazie anche alle indicazioni delle "Linee Guida" elaborate delle associazioni di categoria per la predisposizione dei modelli organizzativi e ai primi orientamenti ed indicazioni della giurisprudenza, sono le più diversificate ed eterogenee e per ciò stesso si rivela necessario individuare quale grado di sottoposizione del soggetto agente, formalmente indipendente ma funzionalmente legato all'ente dall'espletamento dell'incarico sotto la direzione e vigilanza degli "apici", sia in realtà necessario per poter determinare anche la responsabilità dell'ente a seguito della commissione del reato-presupposto, stante il fatto che se, da un lato, è evidente l'esigenza di evitare che l'ente si sottragga alla responsabilità semplicemente delegando a soggetti esterni il compimento di reati, dall'altro, è innegabile che l'esistenza del principio del divieto d'analogia in materia penale impedisca di estendere l'ambito di responsabilità dell'ente oltre misura.

Le perplessità legate ad un'estensione fuori misura del novero dei soggetti rientranti nella categoria c.d. "para-apicale" sono legate principalmente al riscontro che viene fatto circa la natura sanzionatoria della norma di cui all'art. 5, comma 1, lett. b) che proprio per questo necessita di un'interpretazione restrittiva e agli effetti giuridico-economici che questa lettura può determinare in capo all'ente: pensare infatti di poter configurare la responsabilità della persona giuridica ogni qual volta soggetti ad essa estranei ma con i quali intrattiene rapporti della più diversa natura pongano in essere una condotta criminosa ad essa riconducibile, significa ammettere altresì che l'ente sia tenuto a prevedere e configurare dei modelli organizzativi astrattamente idonei a vigilare sempre e comunque sulle più disparate attività dei collaboratori esterni, al fine di prevenire ogni deviazione potenzialmente criminogena, con insostenibili costi da parte dell'ente stesso; si aggiunga poi che difficilmente potrà configurarsi una responsabilità per l'ente se la condotta non sia stata suggerita, assecondata o comunque supportata da soggetti che siano direttamente riconducibili all'organizzazione interna. 
È per queste ragioni dunque e per le permanenti incertezze interpretative riguardanti la concreta individuazione dei rapporti effettivamente rientranti nella categoria dei sottoposti che sembra opportuno percorrere quella via interpretativa che riconosce che il soggetto c.d. "para-apicale" imputabile nell'ipotesi di commissione del reato presupposto sia solo quello "immediatamente a ridosso del vertice o comunque in posizione assimilabile dal punto di vista funzionale", venendo di nuovo così in rilievo non solo e non tanto la qualifica formalmente assunta all'interno dell'organigramma aziendale ma soprattutto il ruolo concretamente rivestito e le mansioni e funzioni effettivamente  svolte.
Già da una prima analisi di quelle che sono le qualifiche individuali all'interno delle organizzazioni complesse, così come delineate dall'art. 5 del d. lgs. n. 231/2001, si può ben riscontrare che, proprio a causa di una così ampia configurazione, si rende necessario tracciare i confini precisi che permettano di inquadrare con precisione i soggetti all'interno della categoria c.d. "apicale" ovvero di quella c.d. "para-apicale", ai fini di una corretta applicazione della disciplina differenziata di cui agli artt. 6 e 7 circa i criteri soggettivi di imputazione: se è vero che per certi versi la qualifica "apicale" va intesa in un'accezione relativa, è anche vero che una definizione precisa dei suoi contorni si rende necessaria per evitare che frettolose ed automatiche dichiarazioni di apicalità del soggetto siano orientate esclusivamente a rendere più arduo l'onere probatorio dell'ente, così come una sommaria ed imprecisa riconduzione del soggetto agente entro la categoria dei c.d. "para-apicali" può portare ad ingiustificati esoneri da responsabilità dell'ente, data l'efficacia esclusoria attribuita dall'art. 7 ad una modellistica di riferimento meno rigorosa di quella di cui all'art. 6. 
A questo punto dunque appare opportuno analizzare con maggiore attenzione quelle figure che, all'interno dell'organizzazione interna dell'ente, possono qualificarsi come "sensibili" con riferimento alla loro esatta collocazione all'interno delle categorie di cui sopra, per meglio delinearne la loro effettiva appartenenza.

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Posizioni para-apicali e modelli organizzativi (nel sistema della responsabilità degli enti da reato)

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Romana Fortunati
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Antonio Fiorella
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 216

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Parole chiave

modelli organizzativi
gruppo societario
delega di funzioni
organismo di vigilanza
compliance programs
d.lgs. n. 231/2001
art. 7, d. lgs. n. 231/2001
responsabilità para-penale
colpa d'organizzazione
d. lgs. n. 81/2008

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