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La Sati nell'India Moderna e Contemporanea

La satī dalle più antiche religioni del mondo fino all’epoca brahmanica.

Il rito della satī ha origini antichissime, al tempo stesso storiche e mitologiche. In periodi diversi della storia indiana molti fattori hanno contribuito al perpetuarsi di questo costume. La satī trae le sue origini dalle credenze delle religioni più antiche del mondo. Queste credenze religiose, trovano significato nella convinzione che il defunto, soprattutto se era un capo, doveva portarsi nella tomba tutto ciò che gli era appartenuto. Greci, Germani, Slavi, Egiziani e i Galli del tempo di Cesare, conoscevano la pratica dell’offerta funeraria di schiavi e guerrieri, ed era in questo contesto che spesso si verificava l’immolazione di una vedova, considerata “tabù”, per essere stata la moglie del capo e legata ad un rapporto di assoluta dipendenza dal morto, e per questo persona “sacrificabile”. Presso gli Slavi, secondo le informazioni riportate da due viaggiatori arabi Ibn Rusta e Mas’Udi, se il morto aveva avuto tre donne, era la favorita che dopo essersi impiccata, veniva bruciata, pertanto sostenne il primo: “Se il morto aveva tre donne, quella che si ritenesse essere la favorita si impicca e il suo cadavere bruciato.” Secondo Mas’Udi invece: “Essi bruciano i morti insieme con le loro bestie da tiro, i loro arnesi di guerra i loro ornamenti. Se un uomo è morto la moglie viene arsa viva con lui; se però muore la moglie il marito non viene bruciato.” Infine, Winternitz, autore di uno studio sulla donna nella religione indiana, concorda:
“Presso i popoli slavi l’uccisione della vedova era ben attestata.”
Anche presso i riti funerari dei Greci c’era la possibilità, oltre che di sacrificare animali e schiavi, di immolare anche la moglie del morto; risulta però essere pratica rara e dipesa dalla volontà della donna. Perciò quelle poche “satī” greche, sono rimaste leggendarie: Evadne, la moglie di Capaneo (uno dei sette di Tebe), Marpessa, Cleopatra e Polydora, le tre vedove della Messeina, tutte si uccisero sui loro mariti morti, eroine circondate da un alone leggendario. Ciò che è importante è che questo rito, ovunque si manifesti, appartiene all’ambito degli usi funebri: l’autoimmolazione della vedova appartiene all’antichissimo ambito dei sacrifici umani legati alle usanze funebri. Questo vale soprattutto per i ceti potenti, regali o guerrieri, legati all’idea del possesso che spingeva a trascinarsi nella tomba le proprie cose, tra cui anche gli schiavi e le mogli. Ciò che può sembrare strano, è che se tante culture conobbero questo rituale nelle loro fasi più antiche, in India dove il rituale ha avuto il suo massimo sviluppo, vi sono seri dubbi sulla presenza nella sua fase più antica e cioè quella del periodo vedico. Dubbia è anche la sua presenza nel periodo precedente l’arrivo degli Arya, se sia stata fin dalle origini una pratica indigena o piuttosto adottata da popolazioni che migravano allora nel subcontinente. I tentativi, infatti, di ritrovare nei Veda2usanze che alludono a questa pratica, falliscono. Non c’è mantra in cui si accenni all’immolazione delle vedove. Che la satī non fosse in voga durante il periodo Vedico è anche testimoniato dall’esistenza della possibilità di risposarsi per le vedove. Ma in tale fase, la pratica della satī era omologabile a quella di altre culture, essa può esistere o meno a seconda che un’usanza appartenente al periodo indoeuropeo veniva mantenuta o meno. Il perché la civiltà indiana adottò questa pratica, secondo L. Piretti Santangelo, rientra in una ricerca che parte da un presupposto:
“ciò che fiorisce è sostanzialmente diverso dall’antica immolazione, comune ad altre civiltà, legata agli usi funerari; poggia su basi diverse, peculiarmente indiane, anzi indù. “
Queste basi, nel tempo, riuscirono a differenziare in modo netto, lo sviluppo di tale rito. Winternitz ancora nel suo studio, in particolare nel paragrafo dedicato al “rogo delle vedove”, affermava che l’origine della satī si collocava: nelle più antiche credenze religiose dell’umanità in generale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Sati nell'India Moderna e Contemporanea

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Informazioni tesi

  Autore: Luisia D'urso
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Studi Orientali
  Corso: Lingue e letteratura afroasiatiche
  Relatore: Mario Prayer
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 245

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