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Dalla periferia al centro: viaggio tra le disuguaglianze del sistema mondo

L'Asia, il nuovo centro del sistema

Molti Paesi dell'Asia hanno conosciuto negli ultimi anni una crescita impressionante. Il primo Paese orientale ad emergere fu il Giappone, che risorse dalle macerie della Seconda Guerra mondiale, per divenire negli anni '80 uno dei maggiori competitor a livello mondiale, raggiungendo livelli di sviluppo tali che non pochi (come abbiamo visto precedentemente Arrighi, ma anche lo stesso Wallerstein) prevedevano che il Paese del Sol Levante potesse minare il primato economico mondiale degli Stati Uniti. Le previsioni non si sono rivelate azzeccate, visto che la crescita nipponica conobbe delle battute d'arresto già nei primi anni '90, e nel 1997 andò incontro ad una seria crisi finanziaria, fino ad arrivare al momento attuale che, sebbene veda il Giappone essere ancora la terza economia del mondo, lo vede anche fare i conti con un sistema politico instabile (si sono avvicendati sette primi ministri negli ultimi sette anni) e con gli strascichi del trauma post-Fukushima, una catastrofe che ha sconvolto la società giapponese.
Nei primi anni 2000 il momento d'oro dell'economia riguardò le cosiddette "Tigri Asiatiche", espressione che comprende diversi Paesi quali la Corea del Sud, Taiwan, Honk Kong e Singapore, che quasi improvvisamente conobbero un notevole sviluppo economico, sotto lo stimolo della crescita giapponese. Tuttora le loro economie, dopo un periodo di calo, sono tornate a ruggire forte ed è probabile che a questo "club" possano aggiungersi altri Paesi, ora definiti come "Tigri minori" ma con tassi di crescita del PIL superiori al 6 %, quali la Tailandia, l'Indonesia e la Malesia.
Ma la crescita più imponente è quella fatta registrare dalla Cina e successivamente anche dall'India. Per diverse volte nell'ultimo decennio la Cina ha fatto segnare una crescita del PIL a due cifre, e dal 2010 è diventata la seconda economia mondiale superando il Giappone. E le prospettive per il futuro sembrano più che positive. Sia Cina che India possono contare ancora su un grande serbatoio di forza lavoro a basso costo, su una popolazione in continuo aumento, nonché su territori vasti e ricchi di risorse naturali.
L'emergere di questi Paesi asiatici, e in particolar modo della Cina, ha ribaltato gli equilibri sistemici fino ad ora esistenti, e proposto all'Occidente un modello di sviluppo economico in contrasto con il "Washington consensus", denominato da Joshua Cooper Ramo nel suo saggio del 2004, "Beijing consensus". In verità, non si può parlare di un vero e proprio "consensus" dal momento che non vi è ancora alcuno schieramento compatto di Stati allineati secondo determinati principi che, inoltre, non sono nemmeno ben definiti. Infatti, lo stesso Ramo, lo definisce più come un approccio precisando che "è così flessibile che a malapena si può considerare una dottrina [TdA]" (Ramo, 2004:3).
Di conseguenza, Giovanni Arrighi, nel saggio del 2008 scritto con Lu Zhang "Beyond the Washington consensus: a new Bandung?" si chiede appunto se il Beijing consensus potrà manifestarsi come una nuova Bandung, ovverosia come una effettiva alleanza politica, riproponendo quella avvenuta nel 1955:

Il quesito più importante, a questo punto, è sotto quali circostanze il Beijing consensus può portare alla formazione di una nuova e più efficace Bandung, cioè ad una nuova versione dell'alleanza del Terzo Mondo degli anni '50 e '60 meglio adatta della vecchia ad affrontare la subordinazione economica e politica degli Stati del Sud verso gli Stati del Nord, in un'epoca caratterizzata da una integrazione economica globale mai vista prima [TdA]. (Arrighi, Zhang, 2008:29)

Nel suo saggio Arrighi illustra anche le modalità grazie alle quali la Cina è riuscita a raggiungere tassi di crescita economici così elevati, modalità che potremmo definire come le caratteristiche del Beijing consensus, per via della loro natura nettamente antitetica ai principi neoliberali avallati dal "Washington consensus". In sostanza, i punti di contrasto vanno ricercati prima di tutto nel gradualismo con il quale la Repubblica Popolare Cinese ha condotto le proprie riforme negli anni, senza compromettere e snaturare la struttura economica della società cinese, al contrario di quanto promuove il modello neoliberale basato sulle "shock terapies". In secondo luogo proprio nell'intelligente intervento statale volto alla ristrutturazione del sistema
economico, al sostegno della domanda interna e alla costruzione di un mercato orientato alle esportazioni.

In breve, il gradualismo con il quale sono state condotte le riforme, e gli interventi bilanciati con i quali il governo ha promosso la sinergia tra un mercato interno in espansione e una nuova divisione sociale del lavoro, contrasta nettamente con l'utopistico credo neoliberale nel beneficio delle shock terapies, nello Stato minimo, e nel mercato autoregolato [TdA]. (Arrighi, Zhang, 2008:11)

Ma è nel suo ultimo lavoro "Adam Smith a Pechino" che Arrighi analizza più approfonditamente il fenomeno cinese. In questa opera l'economista italiano individua la Cina come potenza egemone che potrebbe sostituire gli Stati Uniti, al contrario di quanto pronosticato ne "Il lungo XX secolo", dove aveva destinato tale ruolo al Giappone.
Adam Smith, in questo caso, non è affatto il sostenitore del liberismo sfrenato e del primato del libero mercato. Anzi, secondo Arrighi, Smith "presuppone l'esistenza di uno stato forte, capace di creare e riprodurre le condizioni per l'esistenza del mercato stesso" (Arrighi, 2008:579). Il ruolo delle istituzioni statali è dunque fondamentale, se esercitato con sapienza, proprio come è avvenuto in Cina.
Altro punto da considerare è quello relativo alla ricerca di un via via "naturale" allo sviluppo. Ciò è stato fatto dalla Cina - sostiene Arrighi - proprio seguendo l'insegnamento originario di Smith. La via "naturale" allo sviluppo punta alla espansione sequenziale dei tre settori dell'economia, prima dell'agricoltura, poi dell'industria e dunque del commercio, e si caratterizza come una via "non capitalistica", ossia non corrispondente a quella intrapresa dall'Europa nel XV secolo, che consisteva in un mix di stato e capitale che poneva delle ristrettezze ai mercati (le libertà parziali individuate da Wallerstein, di cui è stato già scritto) e che inevitabilmente sfociava nell'imperialismo e nel colonialismo.
Come evidenziato da Sandro Mezzadra in una recensione del libro di Arrighi:

la via "naturale" nello sviluppo dell'economia di mercato teorizzata da Smith sarebbe stata un via "non capitalistica". Ancora di più: questa via "non capitalistica" era quella che stava dipanandosi in Asia orientale nel XVIII secolo, all'insegna di una rivoluzione "industriosa" dai caratteri del tutto diversi dalla "rivoluzione industriale" inglese. (Mezzadra, 2008)

Il segreto dello sviluppo cinese è dunque da rintracciare nella tradizione della rivoluzione "industriosa", ovvero in un modello equilibrato e graduale di crescita che non prevede la miscela di capitalismo, industrialismo e militarismo tipici dalla rivoluzione industriale europea. Senza dubbio è un modello che finora ha contribuito all'ascesa della Cina, nonostante non si tratti di uno strumento volto alla conquista di un primato, all'ottenimento dell'egemonia. Non è, ribadiamo, un "consensus", ma una via naturale allo sviluppo. Non distrugge, ma crea. Non è aggressivo, ma pacifico. E secondo Arrighi, esso potrebbe rappresentare in futuro la soluzione alle disuguaglianze globali.

I gruppi dirigenti del Sud globale, e quelli di India e Cina in particolare, sapranno prendere una strada che porti all'emancipazione non solo delle loro azioni, ma del mondo intero dalle devastazioni sociali ed ecologiche prodotte dallo sviluppo capitalistico occidentale (Arrighi, 2008:424).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Dalla periferia al centro: viaggio tra le disuguaglianze del sistema mondo

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Informazioni tesi

  Autore: Michele Carretti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Francesco Chiarello
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 45

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