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''Pratesizzabili?'' Da multicultura a intercultura, progetti per l'integrazione della comunità cinese di Prato.

Impresa etnica a Prato

La presenza di cittadini stranieri sul territorio pratese si riflette, di conseguenza, anche nel settore lavorativo. Gli studi e la ricerca sui fenomeni migratori ci hanno abituato ad utilizzare il termine "imprenditoria etnica" per parlare del commercio delle minoranze con due accezioni, una che richiama un fenomeno "anomalo", con scarse potenzialità e soggetto spesso a pratiche illegali e l'altra accezione che indica la provenienza della persona che esercitano il commercio offrendo prodotti propri della loro cultura d'origine. A seconda del contesto, spesso le due accezioni si mescolano dando vita all'idea più diffusa che gli "autoctoni" hanno del commercio etnico, cioè un lavoro con poche prospettive, spesso poco trasparente e legato a culture distanti.
Al di là del pensiero della "gente", sono stati fatti numerosi studi per comprendere questo fenomeno, per capirne la diffusione e i motivi che spingono i cittadini stranieri ad aprire un'attività commerciale propria. Due sono state le direzioni nelle quali si sono mossi gli studiosi, una riguardante il capitale sociale e l'altra le reti di migranti. Le reti migratorie, come si può capire anche da quanto detto in precedenza, sono uno dei pilastri sui quali si basano le migrazioni, strumento in grado di dare una piccola sicurezza in un momento tanto particolare nella vita del migrante. Le reti favoriscono, oltre all'integrazione e tutte le pratiche "burocratiche", anche la ricerca del posto di lavoro e sono capaci di creare occupazione "anche da sé" in quanto forniscono forza lavoro a basso costo e informazioni su come reperire i capitali necessari alla nascita dell'attività stessa269. Le risorse etniche sono definite come "elementi socioculturali che aiutano o si avvantaggiano dal successo delle attività commerciali", e che si basano sulle reti sociali dei migranti per facilitare la trasmissione di informazioni e facilitare la manodopera, spesso senza contratto, appartenente alla stessa comunità. Quindi, in sostanza, le reti dei migranti servono a reperire risorse in modo più veloce e a fornire, sempre con massima velocità, un guadagno ai migranti appena giunti nel nuovo paese. Il capitale sociale è quindi, in sostanza, il migrante stesso . Aprire un'attività etnica, in qualsiasi ambito (vedremo poi..), è sicuramente più vantaggioso e semplice proprio perché le comunità dispongono al loro interno del capitale sociale (persone, relazioni, "mercato"..) necessario.

Le attività commerciali di proprietà dei migranti nascono anche per un altro motivo, sono senza dubbio una reazione al "blocco" delle opportunità nel mercato del lavoro. Le attività etniche nascono come una reazione alla disoccupazione, sono una strategia di sopravvivenza all'interno del paese d'arrivo là dove le possibilità di successo professionale appaiono scarse. Queste attività commerciali sono spesso contraddistinte da "sentimenti forti", il senso di solidarietà e l'aiuto che i migranti sanno darsi non ha pari nei gruppi sociali autoctoni. La proliferazioni di attività etniche è dovuta quindi al mix di capitale sociale e reti di migranti, mix che riesce a creare quei fattori fondamentali (cultura del lavoro, senso di appartenenza, solidarietà, speranza di migliorare la propria condizione di vita...) per la sopravvivenza dell'attività stessa. Sono fattori più "sentimentali" che pratici ma che riescono però con estrema efficacia a superare gli ostacoli che i migranti vedono interporsi con il mercato del lavoro. Ovviamente le attività etniche non nascono solamente per colpa degli ostacoli e delle problematiche del mondo del lavoro, in quello che Kloosterman definisce modello "Neoamericano", l'auto-occupazione è un modo per ottenere maggiori entrate ed avere una maggiore autonomia economica e quindi non solo il motivo per sfuggire alla disoccupazione e dai lavori meno qualificati.

In ottica Europea, le attività imprenditoriali gestite da stranieri si inseriscono solitamente nel settore del commercio, della ristoriazione, nell'attività alberghiera, in quello edile e dei servizi (specialmente quelli rivolti proprio ai migranti come phone centre, money transfer..).

Secondo il CENSIS, ad inizio 2006 erano quasi 190mila le imprese intestate a cittadini stranieri in crescita vertiginosa se si pensa che nel 1994 erano circa 28mila e nel 2003 poco più di 120mila. Dati eloquenti che testimonia come il passaggio dal lavoro dipendente al lavoro indipendente sia sempre più di "moda" tra i cittadini immigrati. Questo boom del 322,7% in poco più di un decennio diventa ancora più impressionante se si va ad analizzare la provenienza degli imprenditori, il 72% di loro proviene da soli 10 paesi.I primi tre paesi, in ordine, sono Marocco, Cina e Svizzera, con i primi due che da soli si spartiscono quasi il 30% delle imprese. La numerosa presenza di attività con a capo cittadini elvetici può essere dovuta certamente alla vicinanza geografica, i motivi della nascita di tante aziende "marocchine" e "cinesi" sono da cercare probabilmente tra le due ipotesi fatte poco sopra.

Milano, Roma e Torino sono le tre città con maggior presenza di attività etniche, Prato è ai primissimi posti con oltre il 10% (dati del 2006, probabilmente oggi sono molte di più) di imprese gestite da stranieri. In queste città quasi il 70% delle attività rientra nel settore dell'edilizia e del commercio, lasciando così agli altri settori citati poco sopra soltanto il restante 30%.

I dati riguardanti Prato si discostano da quelli "medi" nazionali appena citati. Ad inizio 2006 erano 3045 le imprese gestite da stranieri, di queste quelle cinesi erano ben il 65,58% del totale, quelle albanesi il 9%, quelle marocchine quasi il 3%. Numeri impressionanti se accostati ai dati nazionali, non così impressionanti se però si considera la relativa comunità asiatica e il rapporto tra quest'ultima e le comunità albanesi e marocchine presenti sul territorio pratese. Anche entrando nello specifico, andando cioè a vedere i settori in cui erano inserite le aziende menzionate, i dati di Prato si discostano completamente da quelli nazionali. I cinesi risultavano essere impiegati nel settore tessile per l'81% e nel commercio per il 13%, gli albanesi quasi esclusivamente nel settore edile (90%) mentre i marocchini si spartivano equamente tra il settore edile e quello del commercio. Risulta evidente come, a Prato, le imprese "etniche" riguardavano (e riguardano) esclusivamente pochissimi settori e, anche all'interno di questi settori, risultavano essere specializzate in pochissimi prodotti.

Questa specializzazione è risultata essere un'arma a doppio taglio per le comunità stesse, da una parte hanno avvicinato anche la clientela autoctona attirata dal "diverso", da una parte hanno creato un solco maggiore tra le varie culture facendo divenire più ardua la missione "integrazione". Proprio in questa direzione si sono svolte le "indagini" della Camera di Commercio di Prato che nel 2006 ha analizzato le imprese etniche nel distretto laniero per comprendere se avevano successo o meno e se, soprattutto, potevano essere veicolo per l' integrazione.

I commercianti stranieri risultavano essere persone con un grado di istruzione medio-basso, che avevano compiuto i propri studi nel paese di nascita e che avevano intrapreso il percorso migratorio per migliorare la propria condizione economica. In accordo con le teoria sopra citate, la maggior parte delle imprese etniche gestite da cittadini non cinesi risultavano essere nate in risposta alla difficoltà di trovare un'altra occupazione, mentre quelle gestite da orientali risultavano essere nate per il desiderio di creare uno status sociale migliore rispetto a quello d'origine. Così come con la media nazionale, anche a livello locale le imprese cinesi risultavano e risultano essere quindi "diverse" rispetto a quelle creato dalle altre etnie. Altra diversità sta anche nel tipo di impresa creata, se i cittadini di altre nazionalità si ritrovano anche nei negozi "al dettaglio", i cittadini orientali risultano maggiormente impiegati nei settori "all'ingrosso" e, anche là dove i negozi sono pubblici come nel settore della ristorazione, la stragrande maggioranza della clientela risulta provenire dalla comunità cinese stessa.

Questo brano è tratto dalla tesi:

''Pratesizzabili?'' Da multicultura a intercultura, progetti per l'integrazione della comunità cinese di Prato.

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Informazioni tesi

  Autore: Manuel Bianconi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze della comunicazione sociale e istituzionale
  Relatore: Silvia Pezzoli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 239

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