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Il diritto al silenzio dell'imputato

La regola d’oro del contraddittorio e il ridimensionamento del diritto al silenzio

Gli anni immediatamente precedenti l’attuazione legislativa del «giusto processo» furono segnati da numerosi cambiamenti e rimaneggiamenti in ordine alla delicata questione del diritto al silenzio dell’imputato accusatore: la distinzione tra coimputato nel medesimo procedimento e imputato in procedimento connesso o collegato rivelò, ancor prima della riforma del 2001, la sua inadeguatezza a costituire il discrimen in questa materia, da cui far dipendere il riconoscimento o meno della facoltà di tacere in capo all’imputato che accusi un altro imputato durante la fase preliminare. L’approccio più adatto si rivelò proprio la distinzione tra dichiarazioni sul fatto proprio e dichiarazioni sul fatto altrui, a prescindere dalle modalità di svolgimento dei processi, criterio cui già si rivolse la Corte Costituzionale con la sentenza n. 361 del 1998.
Nell’antitesi tra diritto al silenzio e diritto al confronto è chiaro che la logica sottesa al riconoscimento della possibilità di esercitare il silenzio risiede nella garanzia dal rischio di autoincriminazione per l’imputato dichiarante de aliis, ma quando questo timore risulta infondato occorre comprimere contestualmente l’area di tale diritto a sottrarsi al controesame tacendo.
Alla luce di tali considerazioni, la legge di revisione costituzionale n. 2 del 1999 ha eretto a caposaldo del sistema il principio del contraddittorio nella formazione della prova, inteso quale partecipazione dialettica delle parti nella logica processuale. Il merito della riforma costituzionale sta proprio nell’aver elevato il principio del contraddittorio da diritto individuale a confrontarsi con l’altra parte, a canone epistemologico del sistema, senza ovviamente sminuire la portata del primo aspetto. La stessa Corte Costituzionale ha asserito che il legislatore ha dato formale riconoscimento al contraddittorio quale «metodo di conoscenza dei fatti oggetto in giudizio»: da tale prospettiva deriva, a fortiori, il divieto di acquisizione di prove raccolte unilateralmente, senza l’esplicazione di quel momento dialettico consacrato nell’art. 111 Cost., quarto comma, ai sensi del quale «il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova», formulazione categorica di condizione di regolarità del processo.
A questa solenne enunciazione, che stabilisce un divieto di acquisizione delle prove assunte fuori dal contraddittorio, segue poi, nello stesso quarto comma, l’affermazione secondo cui «la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore». Parte della dottrina ha ravvisato che, da questa asserzione, a contrario, sarebbe implicitamente ammesso l’uso in chiave probatoria delle dichiarazioni di chi accetti il controesame; tuttavia, come è stato osservato, l’uso probatorio delle dichiarazioni raccolte nella fase preliminare è vietato dalla prima parte del comma 4 dell’art. 111 Cost., divieto che resta fermo nonostante la previsione della seconda parte del medesimo comma. Il primo enunciato, infatti, sancisce una regola di esclusione probatoria, quale limite all’assunzione di prove assunte fuori dal contraddittorio e se così non fosse lo stesso comma 5 dell’art. 111 - che disciplina le eccezioni, tassativamente elencate, in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio - sarebbe svuotato di significato, in quanto non avrebbe senso esplicitare che «per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita» la prova può essere assunta senza che sia espletato il contraddittorio se il divieto probatorio fosse implicito solo nella seconda parte del comma 4 dell’art. 111 Cost.
A questo orientamento si è obbiettato che se già la prima parte del comma 4 dell’art. 111 Cost. contenesse una regola di esclusione probatoria, allora si renderebbe inutile la seconda parte dello stesso comma, in quanto l’inidoneità a provare la colpevolezza dell’imputato delle dichiarazioni precedentemente rese durante la fase preliminare, in assenza di controesame, sarebbe già implicita nel divieto di acquisire prove non formate in contraddittorio tra le parti.
Inoltre, autorevole dottrina ha ritenuto che la formulazione della seconda parte del comma 4 dell’art. 111 Cost., soprattutto con l’uso dell’espressione «per libera scelta», eleverebbe lo ius tacendi a diritto costituzionalmente protetto, consentendone un suo utilizzo al di là delle effettive esigenze di tutela contro l’autoincriminazione e subordinato alla mera volontà del suo titolare.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il diritto al silenzio dell'imputato

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Informazioni tesi

  Autore: Marta Bussolino
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Rosanna Gambini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 246

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Parole chiave

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imputato
nemo tenetur se detegere
diritto al silenzio
pentitismo
collaborazione di giustizia
giustizia penale inglese

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