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Il male tra radicalità e banalità in Hannah Arendt.

Le origini del totalitarismo, la manifestazione del male radicale

Nelle Origini, l'autrice s’impegna in una ricerca storico- sociologica del totalitarismo, studiando il male per come questo si è manifestato nei regimi totalitari del Novecento. Partecipando al processo a Eichmann, osservando di persona l'atteggiamento di uno di coloro che realizzarono questo male, si accorse che esso non era radicato nell'animo dei criminali ma talmente superficiale da poter colpire qualunque uomo; non era necessario essere malvagi ma era sufficiente smettere di pensare e ricordare le proprie azioni. Il totalitarismo inteso come l'espressione del male nel Novecento, questo concetto è utilizzato per delimitare stalinismo e nazismo. Questi due regimi così differenti, infatti, sono accostati dall’autrice a discapito delle particolarità specifiche dei loro contenuti ideologici, contrariamente a quanto è sempre stato fatto. Il procedimento usato da Arendt è proprio quello di ricercare le origini nella storia e dei fenomeni che l’hanno percorsa, soffermandosi su antisemitismo e imperialismo come fattori fondamentali. L’imperialismo nasce dalla necessità dell’uomo di controllare i più deboli e poter approfittare degli altri nell’idea che tutto è possibile per l’uomo che con ingegno e tecnica si adopera per ottenere ciò che vuole. Nell’epoca dell’imperialismo l’Europa attraversò un periodo di relativa pace perché i conflitti si svolsero nelle colonie. Questo spostò anche l’interesse dei regnanti dalle proprie nazioni a quei nuovi territori ove era necessario dare segnali di forza e controllo e ciò permise alla borghesia di prender sempre più piede nella società: ‹‹era stata la prima classe nella storia a conquistare la preminenza economica senza aspirare al dominio politico››. Questa nuova classe sociale era appunto diversa da quelle fino ad ora esistite e quindi anch’essa elemento destabilizzante di una realtà di “ancient regime”.
La borghesia era una classe interessata al potere economico piuttosto che a quello nobiliare o politico, all’avanguardia in una società in cui mutavano i valori e in cui ben presto il denaro sarebbe valso più di ogni genere di potere fino allora perseguito. L’avvento vero e proprio di questa nuova classe sociale si ebbe durante il regime hitleriano, essa qui riuscì ad ottenere almeno in apparenza il potere, finanziando le iniziative e le campagne del regime e riscuotendone favori ma fu però presto esautorata insieme alle altre classi, poiché una volta giunti al potere i nazisti non necessitavano più di alcun aiuto che non potessero prendersi da soli.
Lo Stato europeo moderno mostrò segnali di cedimento rispetto all’avvento di questa nuova classe che non cercava potere come le altre, e inoltre altri elementi ne ostacolarono la durata, in primo luogo tra questi il dover gestire nazioni diverse unite sotto un'unica legge. Lo Stato- nazione è un coacervo di popoli con tradizioni e culture nettamente differenti che condividono solo l’appartenenza allo stesso organo statale e legale. Questo fa sì che già dalle fondamenta questi stati non possano sopravvivere a lungo, perché impongono a persone nettamente diverse uguali leggi che vanno a sfavorire quelle che sono le popolazioni più deboli. All’interno degli Stati che dall’Ottocento in poi vennero a formarsi si può parlare di molte nazioni all’interno di un unico Stato tra le cui manca ogni conformità culturale. Gli apolidi, coloro che dopo gli sconvolgimenti dell’Ottocento rimasero senza terra, sono uno degli elementi destabilizzanti dello Stato, poiché sono come nazioni a sé stanti che faticosamente riescono a inserirsi e partecipare in modo egualitario alla vita civile di un unico Stato. Essere cittadini nel Novecento era fondamentale ancora più che essere uomini e non sentirsi tali significava non esistere. I nazisti nel lungo percorso che li condusse fino all’ideazione della soluzione finale iniziarono, infatti, escludendo gli ebrei dalla vita civile, dai ruoli pubblici, dalle cariche politiche in modo tale da cancellarli completamente. Uccidere un popolo che ha perso valore nella società, sarebbe stato più facile, ed era inoltre inammissibile che uomini non considerati nemmeno tali potessero essere cittadini. Gli ebrei erano uno di quei popoli senza un territorio che andavano a intaccare la stabilità dello Stato tedesco perché fermamente convinti delle loro tradizioni ed erano quindi un elemento di disturbo. Essi vivevano non solo in Germania ma in tutta Europa e ovunque erano considerati un pericolo sia per le posizioni di prestigio occupate ma anche per il fatto di essere tanti e desiderosi di una propria terra. Le giustificazioni religiose cui ci si appellò, guardando agli ebrei come gli assassini di Cristo, erano utilizzate per infervorare l’odio nei confronti dei semiti e giustificare e motivare atti di violenza nei loro confronti. Queste considerazioni occupano la maggior parte dell’opera arendtiana perché essa si spinge ad analizzare casi particolati nei minimi dettagli svolgendo anche un’attenta analisi della struttura e dell’organizzazione dei regimi. Il suo intento è, infatti, quello di spiegare prima perché lo stato moderno entrò in crisi e come si evolse in un regime totalitario. Lo sguardo dell’autrice nella seconda parte volge a studiare la struttura di tale nuovo tipo di governo. La creazione di sempre nuovi e particolari apparati poteva sembrare un’organizzazione astuta per una società così vasta e diversa ma in realtà essi erano una vuota impalcatura dietro alla quale tirava le fila una ristretta cerchia di collaboratori del Fuhrer. Il palinsesto burocratico era mobile e versatile, perché il capo totalitario doveva avere nelle mani la piena capacità d’azione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il male tra radicalità e banalità in Hannah Arendt.

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Informazioni tesi

  Autore: Tania Cara
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Faustino Fabbianelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 70

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