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La lettera come figura dell'assenza

La lettera come figura dell’assenza

L’impulso alla creazione artistica trae origine da un vuoto interiore, da una mancanza, da ciò che è lontano e per questo vissuto come assente. E’ in questo desiderio inappagabile, il póthos che la scrittura e la rappresentazione affondano le loro radici. Il manque dovuto all’assenza genera una presenza attraverso la parola, da sempre considerata tramite del pensiero e perciò capace di comunicare e dare significato alla realtà che ci circonda.
Un esempio riguardante il modo in cui l’arte si origini da un’assenza risale al mito narrato da Plinio che racconta la storia del vasaio Butade. Egli voleva dare consolazione alla figlia, la quale, disperata per l’imminente partenza dell’amato, aveva riprodotto sulla parete il profilo dell’innamorato. Butade ne ricava un modello in argilla per tentare di rendere meno dolorosa la perdita e la lontananza. Da qui si dice sia nata l’arte.
In questa prospettiva è possibile considerare la lettera come espressione dell’assente, ne ricostruisce una parvenza di presenza , lega mittente e destinatario, svelando nuovi particolari e permettendo lo svolgersi di un intreccio. Come afferma Roland Barthes in Fragments d’un discours amoureux:
Or, il n’y a d’absence que de l’autre: c’est l’autre qui part, c’est moi qui reste. L’autre est en état de perpetue départ, de voyage; il est, par vocation, migrateur, fuyant; je suis, moi qui aime, par vocation inverse, sédentaire, immobile, à disposition, en attente, tassé par place, en souffrance, comme un paquet dans un coin perdu de gare.

L’assenza si realizza solo grazie al suo antonimo: la presenza. Colui che resta e tenta di ricreare l’altro tramite la scrittura non fa altro che tentare di diminuire questa assenza, ma al tempo stesso la aumenta. Del resto il bisogno di rivolgersi a qualcuno che è lontano rimanda alla questione dell’ incomunicabilità. Infatti:
L’absence amoureuse va seulement dans un sens, et ne peut se dire qu’à partir de qui reste – et non de qui part: je, toujours présent ne se constitue qu’en face de toi, sans cesse absent.
Je tiens sans fin à l’absent le discours de son absence; situation en somme inouïe; l’autre est absent comme référent, présent comme allocutaire. De cette distorsion singulière, naît une sorte de présent insoutenable; je suis coincé entre deux temps, le temps de la référence et le temps de l’allocution. […]
L’absence dure, il me faut la supporter. Je vais donc la manipuler: transformer la distorsion du temps en va-et-vient, produire du rythme, ouvrir la scène du langage.


Barthes, riprendendo il Vort/da freudiano, richiama l’esempio del bambino che si è fabbricato un rocchetto, lo lancia e lo riacchiappa, mimando la presenza e il ritorno della madre.
L’incomunicabilità è, insieme alla mancanza e alla lontananza, espressione dell’assenza.
Tramite il segno, la scrittura e la rappresentazione l’uomo fa dell’assenza una “pratica attiva”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La lettera come figura dell'assenza

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Informazioni tesi

  Autore: Valentina Federici
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Bergamo
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue e letterature straniere
  Relatore: Elena Mazzoleni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 49

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