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Contagio da Hiv e Diritto Penale

Sull’ esistenza degli obblighi alternativi: safer-sex oppure obbligo di informazione del partner sano

Altra problematica che si pone di fronte all’interprete è quella di determinare i limiti di (il)liceità della condotta dell’Aids-carrier. In quanto soggetto che materialmente espone al contagio il partner, la questione si pone sul piano della determinazione della condotta del soggetto attivo del reato: cosa deve fare colui che consapevole di essere affetto da Hiv sta per intrattenere un rapporto sessuale con un partner sano per evitare la rimproverabilità penale? Come già evidenziato nella prima parte del lavoro il rapporto sessuale non protetto del sieropositivo può essere veicolo di contagio del virus dunque attività rischiosa, configurandosi come un fattore estraneo all’operatività di quelle attività a rischio consentito, tuttavia, e allo stesso tempo, tale attività è socialmente adeguata. E’stato già chiarito che esistono mezzi di schermatura del pericolo che i consociati possono utilizzare per ridurre il rischio di contagio alla minor probabilità possibile e di tali strumenti il diritto penale deve tener conto: negando la validità legittimante delle prescrizioni comportamentali più volte espresse dal Ministero della Salute nelle svariate campagne di informazione anti-Aids gli individui infetti sarebbero più propensi a rinunciare totalmente all’utilizzo del profilattico, frustrando da una parte l’azione preventiva sanitaria e contraddicendo dall’altra la stessa finalità di prevenzione generale del diritto penale stesso. Poiché il diritto penale deve tener conto delle pratiche di limitazione del rischio da parte dell’infetto è possibile postulare un primo obbligo giuridico da parte del soggetto attivo del reato: l’obbligo di espletare l’attività sessuale con mezzi schermanti idonei. Tuttavia non pare che il problema sia risolto: gran parte della dottrina e soprattutto la giurisprudenza di merito, ha sviscerato la problematica segnalando l’esistenza di un ulteriore obbligo in capo all’Aids-carrier ossia il dovere di informare il partner sulle proprie condizioni di salute. I due obblighi derivano null’altro che da estrinsecazioni dell’art 32 Cost: il diritto alla riservatezza di un individuo infetto deve necessariamente essere bilanciato con il diritto alla salute dell’uomo sano con cui viene in contatto. Vi deve essere “un bilanciamento tra il diritto alla salute di ciascun individuo con il dovere di tutelare il pari diritto dei terzi che vengono in necessario contatto con la persona per attività che comportino un serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio”. Definiti quali sono i due obblighi relativi al soggetto attivo resta da scioglierne il dubbio circa la fungibilità o meno. Anche qui dottrina e giurisprudenza sembrano essere concordi: l’opinione maggioritaria pare essere quella dell’alternatività tra le due prescrizioni. Difatti, anche se parte della dottrina minoritaria ritiene che i due obblighi siano “facce diverse della medesima medaglia” e quindi debbano essere espletati entrambi,secondo la corrente più seguita una lettura congiuntiva comporterebbe un fraintendimento di principio: la valutazione del rischio dell’attività pericolosa deve essere necessariamente lasciata all’ordinamento, se lo stesso ritiene che il profilattico sia un mezzo sufficientemente utile per limitare il rischio allora non può richiedersi al soggetto infetto alcun altro comportamento giuridico schermante come l’obbligo di informare il partner circa il suo stato di salute. Viceversa qualora il partner sia stato reso edotto sull’infezione in atto e nonostante ciò desideri comunque avere un rapporto sessuale non protetto allora il rischio relativo al contagio rientrerà nella sfera delle attività a “rischio consentito” pertanto la condotta sarà considerata come non punibile. Se non che il ragionamento della dottrina, pur essendo condivisibile, pare essere affetto da aporie concettuali: se è vero che l’espletamento del dovere di informazione da parte del soggetto attivo escluderà la necessità di praticare sesso protetto, la persona sana dovrebbe essere sempre messa al corrente dello stato di sieropositività del partner per decidere se, nonostante l’utilizzo di metodi schermanti, sia il caso o meno di assumersi quel minimo, infinitesimale rischio di contagio che residua a fronte dell’unico rapporto sessuale protetto con un soggetto infetto. Una parte della dottrina ha rilevato come sussistano alcune deroghe derivanti dalla prassi all’obbligo di informazione del proprio stato di salute: generalizzando l’obbligatorietà del comportamento informativo la prostituta sieropositiva sarebbe sicuramente danneggiata in quanto per la sola esistenza del “dovere di informare” perderebbe sicuramente la clientela. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Contagio da Hiv e Diritto Penale

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Informazioni tesi

  Autore: Roberto Bonacchi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Giovannangelo De Francesco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 193

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