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La frazionabilità della domanda giudiziale

Tre soluzioni al problema della frazionabilità in senso proprio

Dimostrata l’ammissibilità del frazionamento in senso improprio, resta da chiarire se quello in senso proprio sia o meno consentito dalla disciplina dei limiti oggettivi del giudicato. Dunque, proposte più azioni fondate su identiche causae petendi ed aventi ad oggetto ciascuna una diversa porzione del quantum astrattamente richiedibile in un unico processo, ci si chiede se il passaggio in giudicato della sentenza pronunciata su una frazione precluda o meno all’attore la possibilità di ottenere il residuo:
1) secondo una prima opinione - diffusa soprattutto fra gli autori che, in generale, negano l’ammissibilità del frazionamento - la regola per la quale il giudicato copre (non solo il dedotto ma anche) il deducibile comporterebbe la preclusione menzionata supra, dunque imporrebbe all’attore l’onere di dedurre in un unico giudizio non solo tutti i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, ma anche l’intero bene della vita riferibile al titolo dedotto;
2) secondo altri autori, ogniqualvolta si richiede al giudice un determinato bene della vita - a prescindere dalla circostanza che esso sia "intero" o sia una porzione di un bene della vita più ampio - solo in relazione a tale petitum il giudicato copre i fatti e gli elementi di diritto dedotti o deducibili a sostegno della pretesa;
3) infine, in dottrina e in giurisprudenza si è spesso sostenuto che l’attore, per non incorrere nella preclusione pro iudicato, abbia l’onere di manifestare espressamente la volontà di procedere soltanto per una frazione, riservandosi di richiedere il residuo in un diverso processo.
La soluzione sub 3), prendendo le mosse da quella sub 1) (dunque presupponendo che il giudicato di norma copra anche le frazioni non dedotte ma deducibili), attribuisce all’espressa riserva dell’attore la forza di limitare l’estensione del giudicato al solo petitum effettivamente dedotto. Tuttavia, de iure condito, in mancanza di disposizioni che prevedano un simile meccanismo, risulta difficile ammettere che uno specifico atto di parte (la riserva) possa incidere sulla naturale estensione oggettiva del giudicato. Dunque, per praticare l’azionamento frazionato - sempre che lo si voglia ritenere ammissibile - non sarebbe necessaria l’espressa riserva. Ciò non toglie che all’attore converrebbe rendere comunque esplicita la propria volontà di praticare tale modus agendi:
- in primo luogo per evitare una violazione dei canoni di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c.;
laddove, infatti, l’attore non definisse chiaramente l’estensione oggettiva del giudizio, il convenuto potrebbe non essere in grado di impedire (proponendo, ad esempio, una domanda riconvenzionale di accertamento negativo dell’intero) un frazionamento a lui sgradito;
- in secondo luogo per non correre il rischio che il giudice, mal interpretando l’oggetto della domanda, ritenga che essa sia riferita (non ad una frazione ma) all’intero bene della vita astrattamente richiedibile sulla base del titolo dedotto; la pronuncia che ne deriverebbe sarebbe impugnabile per ultrapetizione ma, laddove passasse in giudicato, precluderebbe all’attore la possibilità di ottenere il residuo.
Le considerazioni appena svolte dimostrano che l’ammissibilità del frazionamento in senso proprio dipende dall’estensione oggettiva che si intende riconoscere al giudicato. Ne deriva la praticabilità di tre opposte soluzioni:
A) Accogliendo l’orientamento sub 1), l’azionamento parcellizzato risulterebbe possibile solo laddove in ciascun processo fosse allegato dall’attore almeno un fatto costitutivo ulteriore rispetto a quelli allegati negli altri processi; in tal caso, infatti, si verificherebbe un frazionamento in senso improprio e le cause instaurate sarebbero diverse (seppure connesse sia sul piano soggettivo sia su quello oggettivo).
Negli altri casi, invece:
- qualora le azioni fossero proposte contemporaneamente, si verificherebbero a) la litispendenza (ex art. 39, co. 1, c.p.c.), se a sostegno di ognuna di esse fossero allegati tutti e solo gli stessi fatti costitutivi; b) la continenza (ex art. 39, co. 2, c.p.c.), se in una causa fossero allegati tutti i fatti costitutivi allegati nell’altra, più (almeno) un ulteriore fatto costitutivo.
- qualora le azioni fossero proposte in successione, il giudicato formatosi su una frazione precluderebbe l’azionamento del residuo se nella causa oggetto del giudicato e in quella instaurata successivamente fossero stati allegati tutti e solo gli stessi fatti costituitivi, oppure se nella prima fossero stati allegati tutti i fatti costitutivi allegati nella seconda, più altri. Se, invece, nella seconda venissero allegati tutti i fatti costitutivi allegati nella prima, più (almeno) uno ulteriore, l’azionamento del residuo sarebbe possibile.
B) Accogliendo l’orientamento sub 2), il frazionamento risulterebbe sempre possibile. Secondo la soluzione in esame, infatti, l’estensione oggettiva del giudicato sarebbe limitata al solo petitum richiesto, ancorché tale petitum costituisse una frazione di un più ampio petitum astrattamente richiedibile nello stesso processo; ne deriva che domande altrimenti identiche andrebbero considerate diverse perché ciascuna di esse avrebbe ad oggetto una diversa frazione dello stesso bene della vita. Fermo restando che:
- qualora le azioni fossero proposte contemporaneamente, sarebbe rilevabile (anche d’ufficio ed entro i termini previsti dall’art. 40, co. 1 e 2, c.p.c.) la connessione soggettiva e oggettiva delle cause; ciò, conformemente al disposto degli artt. 40 e 274 c.p.c., potrebbe condurre ad un simultaneus processus;
- qualora le azioni fossero proposte in successione, il giudicato formatosi su una frazione non precluderebbe l’azionamento del residuo; il giudice del processo successivo, inoltre, sarebbe tenuto a conformarsi all’accertamento passato in giudicato.
C) Si potrebbe anche adottare una soluzione intermedia rispetto a quelle proposte sub A) e B), dando rilievo non tanto ai fatti costitutivi allegati dall’attore, quanto piuttosto al concreto accertamento giudiziale da compiere in ciascuno dei processi instaurati. Secondo tale soluzione, l’azionamento parcellizzato sarebbe impraticabile solo qualora, per svolgere l’accertamento sulla frazione richiesta, il giudice non potesse che accertare e quantificare esattamente l’intero; in una simile ipotesi, infatti, non vi sarebbe alcuna materia da giudicare in un eventuale processo sul residuo, nel quale il giudice sarebbe chiamato a pronunciarsi sul quantum richiesto senza svolgere ulteriori accertamenti. L’azionamento del residuo, dunque, sarebbe precluso dal divieto del bis in idem. Il frazionamento sarebbe invece praticabile non solo in tutti i casi in cui a sostegno di ciascuna pretesa fosse allegato almeno un fatto costitutivo diverso rispetto a quelli allegati a sostegno delle altre, ma anche qualora, nonostante l’identità di tutti i fatti costitutivi, per accertare una prima frazione fossero sufficienti alcune prove, mentre per il successivo accertamento del residuo ne occorressero altre.[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La frazionabilità della domanda giudiziale

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Informazioni tesi

  Autore: Vitantonio Mastrangelo
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Giampiero Balena
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 36

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