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Dono e Riconoscimento: una Prospettiva Filosofica

Marcel Hénaff ed ''Il Prezzo della verità''

L’introduzione al “Prezzo della verità “ si apre con la figura di Socrate, così come descritto da Platone nel “Critone”. Egli rappresenta la figura del saggio che anche nelle ultime ore della sua vita ricorda agli amici e ai discepoli il primo criterio di un desiderio autentico di saggezza: il rifiuto di un qualsiasi vantaggio economico. Condannato ingiustamente a morte rivendicò, come estrema prova della sua innocenza, i suoi poveri costumi e il proprio disinteresse verso ogni ricchezza materiale. Da sempre la sua ricerca perseguiva la saggezza, il sapere e non un bene quantificabile con il denaro.
Cosa simboleggia Socrate? Per Hénaff egli fu l’emblema del fatto che “tra denaro e filosofia vi è fin dall’inizio discordia, una profonda incompatibilità.”
Perché, si chiede il filosofo francese, in tutto ciò che riguarda la produzione dello spirito è difficile stabilire una scala di compensi e il fatto stesso di prevedere un pagamento è stato a lungo problematico? In una parola: quale è il prezzo della ricerca della verità? Quale prezzo è attribuibile alla produzione spirituale?
E’ nel momento in cui il termine verità viene a indicare l’ambito dei saperi, della filosofia e delle scienze, che emerge la questione di competenze riconosciute e remunerabili. Il mestiere del pensatore, del filosofo, acquista lo statuto di professione nel momento in cui cambia il significato del concetto stesso di verità. Da una parte permane la concezione dei vecchi “sophoi”, collegata ai vaticini, all’interpretazione dei segni e a tutti quei saperi divinatori da sempre tramandati in maniera esclusiva solo ad adepti. E’ la tradizione che presuppone l’esistenza di una realtà trascendente quale una divinità o una forza naturale.
Dall’altra comincia a prevalere, sempre nell’antica Grecia, un’ idea di verità obiettiva, come “ciò che fonda l’accordo degli esseri dotati di ragione a proposito di cose evidenti o di risultati irrefutabili sia per la mente divina che per la mente umana.” E’ il momento in cui la verità più che essere data e interpretata comincia ad essere costruita. Nasce dunque un sapere non più iniziatico, ma matematico ed oggettivamente dimostrabile il quale può essere acquisito come una tecnica e che, quindi, come ogni competenza, potrà essere negoziabile e retribuibile. La verità a questo punto comincia a diventare un esercizio, una “professione” a tutti accessibile (come scrive Hénaff “una democratizzazione del sapere”). E’ con i sofisti che questo nuovo atteggiamento, nel campo del sapere filosofico, avrà la sua connotazione più forte: “(il sofista n.d.r.) è qualcuno che cambia la pratica stessa della filosofia, perché conferisce al discorso uno statuto che rompe la relazione tra il dire, l’essere ed il vero.” Subentrando la sfera economica nel campo del sapere nasce l’esigenza di vendere nel migliore dei modi la propria conoscenza. Come per il commerciante, così per il sofista vi è una sostanziale indifferenza circa l’essenza della cosa venduta, non conta più necessariamente la “verità” della cosa, ma è l’arte dell’argomentazione che conta. Socrate (e dunque Platone) è l’emblema della lotta contro questa subordinazione del sapere a professione, dell’ingresso nel campo economico di ciò che non è un bene materiale. E’ dunque il saggio che combatte contro il prezzo dato alla sapienza.
La questione del prezzo della conoscenza, del “mercato delle idee”, è oggi ancora di grande attualità, così come l’aspetto ambiguo e seducente legato al denaro. Scrive Hénaff: “Il denaro produce la sensazione del possibile; proprio in ragione della sua indeterminatezza rende accessibile una quantità illimitata di scelte; è mobile, universale, di una totale plasticità. Questo è l’aspetto principale della sua seduzione, che si confonde con la sua funzionalità. E’ questo che costituisce, per così dire, la bellezza inquietante della sua invenzione.”
Eppure, benché nessuna categoria professionale possa ignorare la necessità e l’importanza della retribuzione, presso i “produttori” delle opere d’ingegno persiste la radicata convinzione secondo la quale vi è un qualcosa al quale non si può attribuire un prezzo, sul quale non si può estendere la giurisdizione di una quantificazione economica del valore. Ma, prosegue Hénaff nella sua introduzione, come definire questo qualcosa? La questione si complica al momento in cui questo aspetto “trascendente” delle cose, questo valore non quantificabile delle prestazioni, è stato negli ultimi tre secoli messo in secondo piano da una cultura permeata dalle categorie del pensiero economico, dalla quale nasce la concezione dell’homo oeconomicus. E’ passando da Adam Smith che viene messa in luce la sterilità in termini di profitto economico delle professioni intellettuali, attraverso la suddivisione tra “lavoratori produttivi (coloro che generano un utile quantificabile economicamente) e “lavoratori improduttivi” (che non generano alcun profitto e si mantengono grazie alla prima categoria). Quest’ ultimi non generano alcun surplus necessario al loro mantenimento, sono fuori dal meccanismo della produzione di valore materiale.
Il quadro concettuale di fondo è dunque quello che vede uno scopo solo nello sviluppo di un reddito per sé e per la propria comunità di appartenenza. Nel perseguimento di tale obbiettivo viene concentrata tutta la forza politica e sociale. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Dono e Riconoscimento: una Prospettiva Filosofica

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Informazioni tesi

  Autore: Lorenzo Todorow
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica
  Relatore: Maria Moneti Codignola
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 113

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