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Inviato di guerra 2.0: dal calamaio allo smartphone. I casi delle ''social netwar'' in Egitto e Libia

Il MoJo, la nuova era del reporter: pregi e difetti

La rivoluzione avviata da smartphone e miniaturizzazione tecnologica non è solo tecnica e pratica, bensì anche formale: ha infatti portato alla creazione una nuova figura professionale, il Mobile Journalist, più conosciuto con l’abbreviativo di Mojo.
Questo nuovo termine fu coniato nel 2005 da alcuni impiegati della Gannett Corporation, maggiore editore di quotidiani degli Stati Uniti, i quali lo utilizzarono come nome in codice per definire il progetto lanciato al giornale The News-Press di Fort Myers, Florida, dove i reporter svolgevano le loro attività con pratiche giornalistiche e mezzi tecnologici inediti e differenti rispetto agli altri professionisti.
Pietra miliare in questo ambito è l’e-book redatto nel 2009 dal giornalista e accademico Stephen Quinn, dal titolo Mojo: Mobile Journalism in the Asian Region. Sebbene sia concentrato soprattutto sulle dinamiche asiatiche, rappresenta un prezioso quanto unico documento che tratta in modo pratico e dettagliato questo concetto, illustrandone le caratteristiche fondamentali e i principali pregi. Quinn, vero pioniere in questo campo, definisce il Mojo come “un giornalista che utilizza unicamente un telefono cellulare per raccogliere e pubblicare notizie, le quali possono essere costituite di testo, foto, audio, video o da una combinazione di questi elementi”. In sostanza, il Mojo è un reporter che generalmente lavora in solitudine poiché uno smartphone è semplicissimo da portare in tasca o in uno zaino. Ciò gli consente, da un lato, di essere molto discreto e di passare quindi spesso inosservato, mentre dall’altro di avventurarsi in zone off-limits e raccogliere contenuti inediti. Infatti, secondo Steven Livingston, docente americano esperto in relazioni internazionali, il vantaggio più importante apportato alla professione giornalistica dagli smartphone è proprio la possibilità di raggiungere luoghi e territori prima inaccessibili.
Secondo la teoria dello studioso, questa particolare condizione introduce un inevitabile paragone tra il Mojo e il CNN Effect.
Nonostante le differenti e ormai obsolete tecnologie a disposizione negli anni Novanta, i corrispondenti John Holliman, Peter Arnett e Bernard Shaw, riuscirono a trasmettere in diretta i bombardamenti iniziali della guerra del Golfo. Fu un evento epocale che rappresenta per sommi capi ciò che sta succedendo anche oggi. Bypassando i tradizionali canali comunicativi, infatti, lo smartphone grazie alla sua flessibilità e adattabilità consente di superare qualsiasi limite sia fisico sia immateriale che può essere posto all’informazione durante un conflitto. In questo ambito, inoltre, un valore aggiunto è costituito dalla possibilità di sfruttare anche in mobilità tutte le potenzialità dei social network: messaggi di qualsiasi tipo vengono istantaneamente diffusi sul web e ciò consente di arrivare direttamente al pubblico e, potenzialmente, all’attenzione della politica. […]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Inviato di guerra 2.0: dal calamaio allo smartphone. I casi delle ''social netwar'' in Egitto e Libia

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Informazioni tesi

  Autore: Emanuele Ballacci
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Editoria Multimediale e Nuove Professioni dell'Informazione
  Relatore: Roberto Gritti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 399

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