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L'evoluzione delle relazioni Italo-Libiche dalla presa di potere di Gheddafi al Trattato di Amicizia, Paternariato e Cooperazione tra la Repubblica Italiana e la Jamahiriyya Araba.

La politica italiana nei confronti della Libia all’indomani del colpo di stato

L’Italia riconobbe come anche altri paesi europei il nuovo governo Libico e espresse un’opinione favorevole per il nuovo assetto, Moro, allora ministro degli esteri, aveva precisi interessi da salvaguardare: quelli della comunità italiana e quelli petroliferi, ma l’obbiettivo primario condiviso con tutti i Paesi occidentali era di carattere politico: il mantenimento della Libia in campo occidentale o per lo meno neutrale, questo era un presupposto senza il quale ogni relazione con la Libia sarebbe stata preclusa. ”Per l’Italia la Libia rappresentava, dal punto di vista commerciale, un mercato in fortissima crescita.(…) La questione economica era poi strettamente legata a quella della presenza della comunità italiana in Libia poiché era proprio questa ad essere la parte più economicamente attiva del paese” (A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi La cacciata degli italiani, le armi e il petrolio).

Per questo nei mesi seguenti il colpo di stato l’Italia cercò occasioni di contatto diretto con le nuove autorità libiche ottenendo però scarsi risultati. Ciò intensificò le preoccupazioni per la comunità italiana, il silenzio dei libici riguardo alle richieste italiane di chiarimento delle relazioni avrebbe dovuto essere indicativo. A due mesi dal colpo di stato Moro esprimeva apertamente: “Siamo pronti a cooperare con i nuovi dirigenti libici nel comune interesse che lega i nostri due Paesi, le cui popolazioni si comprendono e le cui economie si completano, come ha dimostrato l’andamento degli scambi commerciali.(…) D’altra parte è ben evidente alla Libia il prezioso apporto costituito dalla nostra mano d’opera specializzata e dai nostri tecnici in tutti i settori vitali del Paese.

Crediamo di aver riscontrato che tale valutazione è condivisa, malgrado alcuni episodi difficili da spiegare e che ci auguriamo possano essere presto superati. Da parte nostra non abbiamo mancato di assicurare giusta tutela ai nostri interessi e di riaffermare rapporti di amicizia e collaborazione”. Il governo Italiano era disposto a superare gli iniziali disguidi e metteva realisticamente sul piano delle trattative tutto il valore di quanto era in grado di offrire: beni di consumo, Know how, ingegneri, tecnici e operai specializzati.

Il ritiro statunitense e inglese dalla Libia lasciava l’Italia molto più sola, ma anche in una posizione privilegiata. Calenda, ambasciatore italiano a Tripoli scriveva a Moro: “ Il nostro Paese sembra presentarsi come l’unica media potenza che, esclusivamente mediterranea, può portare la voce del continente sull’opposta riva del mare comune.” Queste parole erano sintomatiche delle ambizioni italiane di quel periodo e sembravano considerare l’Europa quale cornice essenziale per i rapporti con i paesi mediterranei. La Libia in effetti aveva forti interessi a mantenere legami con l’Italia, ma la condizione di dipendenza da tecnologia e manodopera italiana non frenarono Gheddafi ad espellere la comunità italiana con lo scopo di ristabilire successivamente relazioni su base paritaria.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'evoluzione delle relazioni Italo-Libiche dalla presa di potere di Gheddafi al Trattato di Amicizia, Paternariato e Cooperazione tra la Repubblica Italiana e la Jamahiriyya Araba.

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Informazioni tesi

  Autore: Margherita Belgioioso
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Pavia
  Facoltà: Scienze Umanistiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Barbara Airò
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 55

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Parole chiave

trattato
regime
libia
gheddafi
tripoli
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