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Il ruolo delle Organizzazioni Internazionali nella disgregazione della Jugoslavia: genesi, sviluppo e legittimità dell'intervento Nato in Kosovo.

I bombardamenti e il diritto bellico e umanitario internazionale

Ulteriori scosse delegittimanti nei confronti dell’intervento dell’Alleanza Atlantica nascono dai dubbi circa la liceità di alcune azioni militari rispetto al diritto bellico e umanitario internazionale. Le norme di riferimento circa la condotta delle operazioni belliche, considerate ormai ampiamente come parte integrante del diritto internazionale consuetudinario, sono la Convenzione dell’Aia del 1899 e i suoi successivi sviluppi, le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i due Protocolli Aggiuntivi delle Convenzioni di Ginevra del 1977 (Petrovic, 2000). In particolare la IV Convenzione di Ginevra e il primo Protocollo Aggiuntivo si occupano della protezione delle vittime civili durante i conflitti armati internazionali introducendo importanti principi tra cui:
- l’obbligo di garantire alla popolazione civile la massima protezione contro i rischi derivanti dalle operazioni belliche;
- l’obbligo di distinzione tra obiettivi militari e civili, con conseguente vincolo di attacchi limitati ai primi;
- l’obbligo di rispettare il principio di «proporzionalità» che vieta gli attacchi indiscriminati, cioè interventi che provochino perdite di popolazione e beni civili che risultino eccessive rispetto al vantaggio militare concreto e previsto.

La fonte considerata più attendibile circa il numero dei civili deceduti durante le operazioni militari in Kosovo è il rapporto Civilian Deaths in the Nato Air Campaign elaborato nel 2000 da Human Rights Watch. Il resoconto parla di un numero di caduti tra i cittadini della Repubblica federale jugoslava che si colloca tra i 489 e i 528, di cui circa 300 colpiti nei 12 «incidenti» considerati più gravi. Ai fini del presente lavoro risulta utile, seguendo quanto proposto da Petrovic, confrontare alcuni di questi episodi con quanto previsto dalle norme sopra citate, per capire se effettivamente le azioni militari della Nato abbiano in qualche caso violato il diritto internazionale.
1. Il 14 aprile e il 14 maggio gli aerei dell’Alleanza Atlantica colpiscono colonne di veicoli civili vicino alla città di Djakovica e al villaggio di Korisa, causando più di 100 vittime. In entrambi i casi la Nato, pur assumendosi la responsabilità degli errori, accusò le truppe jugoslave di aver usato i civili come scudi umani. Indipendentemente dalla veridicità circa l’azione delle forze serbe, gli attacchi sembrano palesare la violazione di quanto regolato dall’art. 57 del primo Protocollo Aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra che prevede che chiunque lanci un attacco debba «fare tutto ciò che è praticamente possibile per accertare che gli obiettivi da attaccare non sono persone civili…», nonché «astenersi dal lanciare un attacco da cui ci si può attendere che provochi incidentalmente morti e feriti tra la popolazione civile..». Nei due bombardamenti gli aerei dell’Alleanza hanno condotto le operazioni ad altezze (5000 metri) che rendevano impossibile l’identificazione visiva dei bersagli. La stessa Nato, dopo gli incidenti, ha rivisto le regole d’ingaggio prevedendo una più scrupolosa procedura di individuazione degli obiettivi, ammettendo implicitamente gli errori commessi nei casi sopra citati.
2. Gli attacchi alla Radio Televisione Serba di Belgrado (considerata dalla Nato come sistema di comunicazione civile e militare), alla centrale elettrica di Belgrado e al Ponte “Tito” di Novi Sad pongono da un lato interrogativi sul metodo di
classificazione degli obiettivi e dall’altro sulla gestione degli obiettivi civili. Se nel caso della sede televisiva di Belgrado è possibile considerare in qualche modo legittima la definizione di obiettivo militare, valutandone l’uso propagandistico fatto dal regime di Milosevic, gli altri due obiettivi risultano indubbiamente «beni civili». Il loro attacco si pone in netta violazione dell’art. 52 del Protocollo I che al punto 1 prevede che: «I beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie…».
3. Il bombardamento dell’Ambasciata cinese di Belgrado e la distruzione del ponte di Grdelica, colpito al momento del transito di un treno passeggeri, possono essere considerati come palesi errori di valutazione degli obiettivi e come esempi di violazione dell’art. 57 del Protocollo I circa l’individuazione e separazione di target militari e civili.
4. Il 7 maggio un attacco all’aeroporto militare di Nis con l’utilizzo delle c.d. «bombe a grappolo» porta gravi danni a diversi quartieri della cittadina e alla morte di 14 civili. L’utilizzo di questo tipo di armamento all’interno di un centro abitato pone seri dubbi circa le precauzioni poste in essere ai fini dell’identificazione di obiettivi militari e civili.
5. Notevole impatto a livello di opinione pubblica hanno avuto gli incidenti che hanno causato danni ambientali. L’art. 35 del Protocollo I, al punto 3, sostiene che: «E’ vietato l’impiego di metodi o strumenti di guerra aventi lo scopo di provocare, o dai quali sia prevedibile che provochino, danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale». In questo contesto possono rientrare l’attacco all’industria petrolchimica di Pancevo e l’utilizzo da parte delle forze Nato di proiettili all’uranio impoverito.
Diversi governi e organizzazioni non governative hanno chiesto ripetutamente l’avvio di indagini da parte del Tribunale penale internazionale per le presunte violazioni commesse dalla Nato nel corso delle proprie azioni. Nel giugno del 2000 il Procuratore del Tribunale, su indicazioni del Comitato incaricato di valutare l’attendibilità delle denunce, ha emesso una decisione di «non luogo a procedere» causando forti polemiche e perplessità. La Nato ha sempre respinto le accuse mosse circa alcuni suoi comportamenti, sostenendo di essere riuscita a ridurre al massimo il numero delle perdite civili in funzione dell’altissimo numero dei raids condotti e nulla, ad opinione del sottoscritto, può gettare dubbi circa le intenzioni dell’Alleanza Atlantica di considerare prioritaria la salvaguardia delle popolazioni all’interno del teatro di guerra.
Il dichiarato carattere «umanitario» dell’intervento, però, presuppone che azioni potenzialmente illecite rispetto a quegli stessi diritti che ci si propone di difendere con le armi, non gettino ombre sull’operato di chi decide di avviare un’operazione militare unilaterale. Nonostante la decisione di non procedere da parte del Tribunale penale internazionale, i dubbi posti da diversi organismi internazionali, tra cui Amnesty International, hanno portato ulteriori colpi alla legittimità dell’uso della forza da parte della Nato per risolvere la questione del Kosovo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il ruolo delle Organizzazioni Internazionali nella disgregazione della Jugoslavia: genesi, sviluppo e legittimità dell'intervento Nato in Kosovo.

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Informazioni tesi

  Autore: Emiliano Bonatti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Trento
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Studi Internazionali
  Relatore: Roberto Belloni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 40

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Parole chiave

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