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La dissoluzione di Lotta Continua nella Torino della seconda metà degli anni '70. Il tramonto di un'epoca fra movimenti e violenza

Da Senza Tregua a Prima Linea

«Prima Linea non è un nuovo nucleo combattente comunista, ma l’aggregazione di vari nuclei guerriglieri che finora hanno agito con sigle diverse. Prima Linea non è l’emanazione di altre organizzazioni armate come BR e NAP. L’unica direzione che riconosciamo sono i cortei interni, gli scioperi selvaggi, i sabotaggi, gli invalidamenti degli agenti nemici, l’esuberanza spontanea, la conflittualità extralegale».

Quello della violenza armata organizzata e del terrorismo fu l’altro grande tema su cui si consumò prima il declino e poi l’esaurimento dell’esperienza politica di Lotta Continua. Nei primi anni di vita, l’organizzazione era convinta che in Italia ci si trovasse in una situazione pre-insurrezionale e che fosse vicino il momento della conquista del potere politico (elemento questo comune anche all’altro grande filone del movimento extra-parlamentare, Potere Operaio). Si trattava, quindi, di capire come e con quali strumenti organizzativi. Nel biennio ‘75-’76, poi, la spirale di violenza aumentò vertiginosamente – per poi esplodere irreversibilmente nel 1977 – alimentata da uno Stato che con i suoi autoblindo e i suoi agenti (in divisa o in borghese) credeva di “tenere la piazza” anche a costo di morti e feriti, con il sottofondo apparentemente stonato degli articoli pubblicati da “l’Unità”, per mezzo dei quali il Partito Comunista Italiano, ormai inevitabilmente entrato nel tunnel del compromesso storico, criticava aspramente il movimento autonomo.
A Torino, un episodio, in sé molto grave, può essere utilizzato come esempio di questo contesto: la notte del 29 gennaio 1976 un centinaio di famiglie di operai occupò degli appartamenti privati sfitti di proprietà dell’allora presidente dell’Ordine dei Costruttori di Torino. L’episodio mi è stato raccontato da Carlo Zanella, all’epoca responsabile cittadino della Commissione Lotte Sociali di Lotta Continua, e responsabile proprio di quell’occupazione:

In quell’occasione ci rendemmo conto che il PCI era diventato un nostro nemico. Un nemico, credo, molto più forte rispetto ai democristiani, che fino ad allora dovevano coprire un sacco di magagne, di cose illegali ecc., e per cui non si azzardavano a fare azioni repressive molto forti, perché temevano il nostro servizio di controinformazione che era piuttosto buono. In quell'occasione noi facemmo un blitz, ma mentre la gente stava entrando dentro, sentimmo delle sirene della polizia: erano 20 pattuglie che stavano già arrivando. Era evidente che avevano avuto una "soffiata" e noi eravamo sicuri che fosse stato il PCI.

La scena che si presentava riportava alle immagini televisive che all’epoca arrivavano dall’Irlanda del Nord, dalla Palestina o dal Sudafrica razzista:

I poliziotti erano armati fino ai denti, cominciarono a sparare mitragliate contro l'ingresso dell'edificio. Detti subito ordine di andare ai piani superiori, buttarsi a terra e non affacciarsi alle finestre. Gli intonaci crepitavano sotto le pallottole. Solo per caso nessuno è rimasto ferito. Noi avevamo bloccato tutto, ma loro riuscirono lo stesso a sfondare. Sono andati per le scale sparacchiando, c'erano tutti gli intonaci crepati. C'erano donne e bambini, sembrava una scena di guerra. Alla fine ci siamo arresi, non si poteva fare diversamente in queste condizioni, e siamo scesi uno ad uno.
A quel punto i poliziotti ci hanno messi tutti contro il muro. Scese poi un giornalista che abitava lì vicino e che aveva sentito i colpi. Si avvicinò a me mentre ero faccia al muro con le mani alzate e mi chiese: "Cosa succede? Cosa scrivo?". Risposi: "Scrivi esattamente cosa stai guardando". Lui fece un articolo molto pesante su "Stampa Sera".
Nella redazione c’erano dei giornalisti molto disponibili nei nostri confronti.
Dopo averci allineati tutti, i poliziotti si accorsero che c’erano circa 300 persone e che la cosa aveva preso la dimensione di un rastrellamento più che di uno sgombero.
Probabilmente erano state date loro indicazioni sbagliate, perché loro credevano che si trattasse di un gruppetto di circa 20 militanti di Lotta Continua che voleva occupare una casa del presidente dei costruttori.
Quando hanno trovato bambini e donne, tutti schiacciati contro il muro, il comandante chiese in Questura indicazioni su cosa fare. Ipotizzo che sia stato detto loro: "Ma siete scemi? Lasciate perdere!", perché di colpo, senza dirci niente, se ne son scappati.


Le pressioni furono molte affinché non si desse risalto mediatico all’avvenimento, nonostante Lotta Continua raccolse 14 bossoli dall’area dell’edificio occupato, mostrandoli in conferenza stampa. Dal lato della Sinistra rivoluzionaria, invece, le conseguenze ci furono:

Questo è un evento che contribuì, secondo me, a dare origine a "Senza Tregua" e a rafforzare i processi di costituzione dei gruppi armati. Quando ci riunimmo, dopo l'episodio, una buona parte degli occupanti, che era gente che veniva dal popolo e dalle lotte contadine e bracciantili al Sud, han detto: "Vogliamo rioccupare, ma a questo punto veniamo armati". Le armi c'erano: la nostra esperienza di intervento politico, nei quartieri di Vallette e Falchera, ci aveva fatto incontrare gente che era finita in galera per truffa o rapina, chissà forse era legata anche alla mafia. Era un proletariato – come veniva chiamato all'epoca – "extra-legale", che non c'entrava niente coi militanti. Quello è stato un momento fondamentale a Torino, perché le riunioni successive fecero emergere a votazione che tutti volevano tornare ad occupare le case armati. Per questo io detti le dimissioni da Lotta Continua. L’altra conseguenza fu che furono definitivamente troncate le occupazioni di case.

Quindi, mentre anche a Torino il gruppo dirigente di LC, anche alla luce del rovescio elettorale del ‘76, si stava sempre più convincendo che la teoria della fase preinsurrezionale era stato un miraggio, buona parte dei circa 300 militanti del servizio d’ordine, soprattutto i più giovani provenienti dalle cellule studentesche, scalpitavano, convinti invece che il quadro politico del compromesso storico avesse chiuso qualsiasi spazio a mediazioni politiche, viste solo come tentativi di indebolire la forza conflittuale operaia e dei movimenti, anche in senso militare.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La dissoluzione di Lotta Continua nella Torino della seconda metà degli anni '70. Il tramonto di un'epoca fra movimenti e violenza

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Informazioni tesi

  Autore: Alberto Pantaloni
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze storiche
  Relatore: Monica Galfrè
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 83

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