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Tradurre per la Commissione Europea: tecnologie, metodi e strategie di lavoro dei traduttori della Direzione Generale per la Traduzione.

Vantaggi e svantaggi della politica del multilinguismo

Come prima accennato, gestire una comunità internazionale che opta per una politica multilinguistica così accentuata come l’UE è molto difficile, e apparentemente oneroso. In realtà dal punto di vista economico, risulta che mantenere uno status multilinguistico non gravi poi così tanto sul cittadino europeo se si pensa a tutti i vantaggi che tale politica apporta: facilità di reperimento delle informazioni, coinvolgimento nei cambiamenti e nelle decisioni prese dall’UE, arricchimento culturale.
Per quanto riguarda invece la difficoltà di gestione, è sufficiente pensare che l’Unione Europea non solo favorisce il multilinguismo da parte delle istituzioni, ma anche e soprattutto da parte del cittadino. Le istituzioni europee da sempre pubblicizzano e promuovono la conoscenza di almeno altre due lingue comunitarie oltre alla propria lingua madre, secondo la cosiddetta filosofia “lingua madre più due”. Oltretutto, non vengono neppure dimenticate le lingue minoritarie. Il rispetto per la diversità linguistica e culturale viene infatti espresso anche nella protezione di tutte quelle lingue minoritarie e regionali, oltre 60 in Europa, che possono essere riassunte brevemente in tre tipi:
- Lingue specifiche di una regione all’interno di uno Stato membro, che non sono lingue dominanti in nessuno Stato europeo, come il basco, il bretone, il sardo o il catalano;
- Lingue parlate da una minoranza della popolazione in una nazione dell’Unione, ma che sono lingue ufficiali in altri paesi europei, è il caso del tedesco e del francese nel nord Italia, o dell’ungherese in Slovacchia;
- Lingue non specificatamente legate ad un territorio, come ad esempio la lingua parlata dai Rom, il romaní, e l’ebraico.
A questo proposito, per quanto riguarda la valorizzazione del multilinguismo unita alla protezione delle lingue minoritarie, Andrea Ortolani, in “Lingue e politica linguistica dell’Unione Europea”, immagina tre approcci differenti di politica linguistica.
Il primo approccio favorisce l’uniformità linguistica: esso tende quindi a privilegiare l’uso di una lingua, scoraggiando o addirittura proibendo l’utilizzo di altre lingue. Nel periodo moderno atteggiamenti di questo tipo sono stati riscontrati soprattutto nei regimi centralisti, come ad esempio l’Unione Sovietica, la Spagna di Franco, l’Italia fascista, «esempi tipici di soppressione delle libertà linguistiche e dell’imposizione di una lingua nazionale, coincidente spesso con la lingua della classe dirigente».
Il secondo approccio di politica linguistica è quello della neutralità. Le istituzioni non intervengono, e lasciano che i meccanismi di nascita, evoluzione e morte di una lingua agiscano indisturbati da influenze esterne, in modo tale da privilegiare, a lungo andare, le lingue più dinamiche, più forti, che riescono a sopravvivere, mentre le più deboli vanno inesorabilmente perdute.
Il terzo approccio di politica linguistica consiste invece nella salvaguardia delle lingue regionali e minoritarie, ed è, in senso lato, quello adottato dall’Unione Europea. Lo Stato in questione permette l’uso della lingua protetta nelle scuole o nelle istituzioni, attribuendo dignità a queste lingue e permettendone la sopravvivenza, seppur con un utilizzo minore rispetto a quella che è la lingua ufficiale della nazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Tradurre per la Commissione Europea: tecnologie, metodi e strategie di lavoro dei traduttori della Direzione Generale per la Traduzione.

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Informazioni tesi

  Autore: Ilaria Di Loreto
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze Umanistiche
  Corso: Lingue Moderne, Letterature e Scienze della Traduzione
  Relatore: Mary Louise Wardle
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 154

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