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Il concetto di malattia nelle opere di Goldstein e Canghuilem

Il raffronto tra Canguilhem e Goldstein

Il rapporto con il mondo, sia esso inteso in senso strettamente biologico, come anche sociale, economico e psicologico, è dunque la nuova dimensione in cui ci muoviamo oggi, nell’analizzare ciò che significhi il nostro benessere. La malattia, prima semplice accidente, è considerata appieno parte nella nostra vita, non più relegata al fondo della nostra esistenza, ma elemento fondamentale di ciò che è il nostro essere. È finita l’epoca della malattia come forza maligna, intesa a debilitare il nostro essere e corromperlo, e della guarigione comereazione del corpo a quest’intrusione, un restauro della purezza d’anima e corpo.
Allora cosa sarà la nuova allure, od il nuovo pattern, che noi adotteremo al fine di superare l’empasse propostoci dalla natura esterna? Per usare la parole di Canguilhem, al riguardo dell’organismo: "Una maniera nuova di comportarsi rispetto al milieu”.
Tutto questo porta a vedere la malattia nell’ottica descritta da Canguilhem, quella che lui chiama "allure" della vita, termine che indica una maniera dell’essere, derivante dalla sua volontà, una scelta di termini che ci porta ad esaminare con precisione la nozione di comportamento: egli indica due casi specifici, o che il comportamento sia appreso poco alla volta solo per via casuale, in maniera automatica, attraverso una serie di fallimenti e difetti acquisiti, “par défault”, oppure rappresentando in questa maniera, in senso positivo, una certa modalità di reazione a tali difetti e anomalie presenti sul suo percorso, nel momento stesso in cui essi giungano a manifestarsi nel nostro cammino, ed eventualmente resistere ai loro effetti deleteri sul nostro corpo.
Anche Goldstein sviluppa questa visione, coniando la propria versione del concetto d’"essere malato" (“Kranksein”), nel mentre che questo costituisca un modo d’essere dell’organismo, una maniera di vivere del medesimo, modalità senza dubbio contraria, ma per tanto non passibile d’essere riducibile ad una media ed un certo concetto puntualmente identificabile e misurabile tramite una media, senza che la personalità del malato come singolo, e la sua disposizione a vivere siano direttamente compresi sotto questi aspetti.
E qui si trova ciò che può essere considerato il punto focale di contatto tra i due studiosi: l’essere malato è ancora essere vivo, sebbene sia una vita di genere differente rispetto a quella che possiamo chiamare originale, senza alcun dubbio perturbata e diminuita nel suo valore ma, nonostante ciò, nei limiti del nuovo contesto entro il quale essa si sia trovata a dovere esercitare la sua azione, essa possiede una forza interna che la spinge a ritrovare una nuova organizzazione, la capacità di creare nuovi schemi comportamentali che sono manifestazioni della forza positiva della vita, manifestazioni che all’occhio della medicina possono forse apparire di poco conto, facendo sì che, letteralmente, quest’ultima manchi l’obbiettivo della sua analisi. Nel momento stesso in cui si vede che l’organismo ha riacquisito un controllo sul suo stato di vita, allora si può sostenere che esso sia rimasto integro ed abbia saputo rispondere alle esigenze del suo milieu. Ciò avviene per entrambi gli autori da un punto di vista anche intenzionale, ovvero, nel caso di creature con un sistema cerebrale sufficientemente sviluppato, vi è piena intenzionalità nella ricerca di uno stato di salute e nella mancanza di dolore nella propria vita.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il concetto di malattia nelle opere di Goldstein e Canghuilem

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Informazioni tesi

  Autore: Michele Anoardi
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Gaetano Rametta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 127

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Parole chiave

malattia
shock
comte
bilanciamento
milieu
goldstein
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