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La stampa durante la dittatura fascista

La subordinazione dei giornali al fascismo

Il 1 novembre del 1922 Mussolini rispose ad una lettera del presidente dell’Associazione Stampa, senatore Berzilai, il quale chiedeva delucidazioni sul ruolo che la stampa avrebbe avuto nel nuovo regime: “Ricambio con grato animo il suo cordiale saluto. Superate le condizioni dell’eccezionale momenti, intendo salvaguardare la libertà di stampa, purché la stampa sia degna della libertà. La libertà non è soltanto un diritto ma un dovere". Al tempo le parole del Duce erano al miele tant’è che il “Corriere della Sera" rifiuta categoricamente l’idea che il nuovo Presidente del Consiglio “si proponga di creare alla stampa limitazioni […] che costringerebbero il giornale a limitare il proprio compito[…]".
Già nel ’22 tutti i fasci locali disponevano di un proprio giornale che serviva a diffondere la propaganda fascista. Naturalmente l’organo più importante era il foglio mussoliniano, il “Popolo d’Italia" che nel 1914 contava già 7.000 copie. Nei mesi successivi alla marcia su Roma i quotidiani mostrarono dapprima un atteggiamento incerto ma in seguito all’omicidio Matteotti questi giornali assunsero una posizione antifascista. Una volta al potere tre grandi problemi generali si posero a Mussolini in materia di stampa: assumere il controllo dei giornali non fascisti, schiacciare i fogli di opposizione e imporre l’autorità assoluta dello Stato sulla stessa stampa fascista. Per i primi due casi furono impiegate le violenze delle squadre fasciste mentre nel terzo caso importante fu il contributo dell’ Ufficio stampa. Nel 1923 Mussolini lo collocò sotto la propria diretta autorità utilizzandolo poi durante la crisi Matteotti per combattere la stampa Antifascista.
Fino alla proclamazione della dittatura, l’Ufficio stampa si limitò alla rassegna dei quotidiani italiani e stranieri. Mussolini infatti scisse all’allora presidente Cesare Rossi che era urgente “procedere all’organizzazione razionale della stampa fascista e nazionale". Per cercare di nascondere queste ristrettezza il prefetto di Bari assicurò le autorità che era stata intrapresa un’opera attenta di vigilanza al fine di garantire la più completa “libertà di stampa". Ma le cose non stavano affatto così: il 15 luglio del 1923 il re firmò un provvedimento che dava al governo poteri in maniera di soppressione o sequestro di giornali che esso giudicava pericolosi. I prefetti avevano il potere di chiudere le redazioni se esse incorrevano per due volte, nello spazio di due anni, nei seguenti reati:
1)pubblicazione di notizie false che danneggiano l’attività diplomatica del governo
2) pubblicazione di articoli che contengano notizie che eccitino o all’odio o alla disobbedienza.
Con questi provvedimenti nel 1924 la lotta politica tra fascismo e opposizione si fece sempre più aspra. Il governo si dimostrò particolarmente duro nei confronti dei giornali comunisti e socialisti.
Pietro Nenni, direttore dell’"Avanti!", telegrafò a Mussolini dicendo che nonostante il fatto che il suo giornale si attenesse alle regole era stato sequestrato già 24 volte. Senza badare a queste proteste, Mussolini proseguì con la pratica repressiva. Nei giorni del 31 dicembre 1924 e seguenti vennero sequestrati tutti i giornali di opposizione e alla fine del 1925 l’Avanti sospese le pubblicazioni. Dopo il congedo di Cesare Rossi, Mussolini nominò capo dell’Ufficio stampa il conte Giovanni Capasso Torre di Pastene, ex inviato del “Giornale d’Italia" che attirò l’attenzione di Mussolini nel pieno della crisi Matteotti approvando in pieno la causa fascista. Degli 8 uomini posti agli ordini di Capasso Torre, 5 erano giornalisti, 2 letterati e uno un funzionario di carriera del ministro dell’Interno. Nel settembre del 1928 Lando Ferretti sostituì Capasso Torre alla direzione dell’Ufficio stampa. Egli aveva preso parte alla marcia su Roma. Nel ’31 propose a Mussolini la costituzione di una propaganda incaricata di raccogliere ed elaborare scritti e pubblicazioni inerenti alla “Romanità, italianità, e il regime". Entro un anno dalla sua nomina Ferretti poteva riassumere il grosso delle attività dell’Ufficio stampa in due grandi categorie: raccolta e diffusione di materiale propagandistico sui temi dell’italianità e un controllo sui periodici che ignoravano il regime. Nel ’31 Gaetano Polverelli successe a Ferretti e sottopose il giornalismo italiano ad un controllo ancora più rigoroso. Polverelli aveva lavorato a stretto contatto con Mussolini nel 1914 e si era dichiarato “fascista fino al midollo". Alfredo Rocco dichiarò che Polverelli aveva portato nell’ Ufficio stampa “un senso di severità e poche ma inflessibili idee".
Nella propaganda di questo periodo possono essere individuati due importanti temi di carattere generale: il “mito del duce" e la “nuova Italia". Per l’ Ufficio stampa quello che i giornali dovevano omettere era spesso più importante di ciò che veniva pubblicato. Non fu mai permessa nessuna notizia e nemmeno allusione a malattie di Mussolini. Egli non invecchiava e i direttori dei giornali furono ammoniti dal dare notizie riguardanti il compleanno del Duce. Non fu mai menzionato che egli era diventato nonno, già nel ’26 venne spedito un telegramma a tutti i prefetti: “Est desiderio di S.E. Capo Governo che giornali riviste pubblicazioni illustrate non dedichino spazio ad avvenimenti cronaca ritratti e disegni che riguardano persone sua famiglia". [...]

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La stampa durante la dittatura fascista

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Informazioni tesi

  Autore: Riccardo Campopiano
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Informatica Umanistica
  Corso: Lettere
  Relatore: Marco Gasperetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 45

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