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Identità aliene e viaggi nel tempo in Kindred e Xenogenesis di Octavia E. Butler

Utopia/distopia nella science fiction

Anche se il termine fantascienza, com’è stato precedentemente detto, è di origine recente, i critici fondano le basi di questo genere letterario nel periodo ellenico, cioè nel momento in cui il cittadino diventa suddito e vuole estraniarsi dalla politica creando mondi paralleli in cui rifugiarsi. Solitamente questo genere di fantascienza coincide con il genere utopico. Ma già agli inizi dell’impero la stagione del romanzo utopistico è tramontata, infatti, nel mondo provinciale riassestato dai primi imperatori di Roma la narrativa rientra completamente in quella letteratura strumento dell’ideologia del potere, e diventa esclusivo prodotto di evasione e di conservazione, come fa notare Luigi Russo.
Ma vi è una differenza sostanziale fra la fantascienza appartenente all’età greco latina da quella attuale, infatti, mentre gli utopisti classici proponevano la costruzione di una società priva di imperfezioni, popolandola di esseri umani e strutture sociali perfette, i nuovi utopisti si occupano di non-gente e di surrogati di gente; la loro progettazione è fatta per mezzo di computer, procedure sistemiche, analisi funzionali ed euristiche, e tende a limitare progressivamente, in numero e in importanza, gli interventi umani entro le strutture operative dei sistemi, che risultano dai loro calcoli. Essi sembrano essere sospinti più dalle recenti scoperte relative alla sempre maggior utilizzazione dei computer che dalle fondamentali richieste morali, intellettuali e fisiche dell’umanità. Le utopie classiche erano sospinte dall’insoddisfazione per la realtà esistente e immaginavano sistemi più conformi al “bene” dell’umanità, l’attuale “rinascenza tecnico-utopista” sembra sospinta dal desiderio di estendere il dominio dell’uomo sulla natura, quindi sta più nell’ “efficienza” che nell’umanitarismo. Le espressioni del pensiero antiutopico, piuttosto rare nei primi secoli dell’età moderna, assumono un’estensione notevolissima nel secolo XX nell’ambito della science fiction. Il declino di una produzione utopica e la contemporanea proliferazione di quella distopica, il passaggio, quindi, dall’ottimismo al pessimismo, dalla predizione fiduciosa di un futuro felice alla previsione di disastri sociali incombenti potrebbero rappresentare segni di un cambiamento radicale negli atteggiamenti basilari della cultura contemporanea.
Nella seconda metà del XIX secolo, con Jules Verne e H.G. Wells, è il momento delle grandi utopie in senso classico che prendono piede sempre più sotto forma di romanzi di fantascienza. La SF cade a pennello in questo periodo perché è un momento in cui è in corso un susseguirsi di cambiamenti tecnologici e la narrativa ha la funzione sociale sia di abituare il lettore alle innovazioni che si susseguono sempre più rapidamente sia di attutire l’impatto demoralizzante del cambiamento stesso. Questo nuovo genere serve a preparare l’uomo ad aspettarsi l’inaspettato in un nuovo mondo che è quello industrializzato del XIX secolo. In realtà questa visione utopica non ci fa vedere l’automazione tecnologica, ma solo l’efficienza futura cosicché le grandi metropoli si trasformano in realtà storiche e datate. Questo particolare futuro utopico non è altro che una possibile trasposizione futura del nostro passato.
Ma, al di là del realismo apparente, la science fiction non ci dà un’immagine del futuro, ma piuttosto decostruisce e riorganizza la nostra esperienza del presente. Partendo dagli imperi intergalattici di cui scrive Asimov o dalla descrizione di una Terra sterile e devastata della post-catastrofe descritta da John Wyndham, si arriva ad un futuro più vicino delle banche e dei minatori dello spazio di Larry Niven, o agli androgeni dell’universo di Philip K. Dick, tutte rappresentazioni che trovano spazio nella cultura degli anni ’90. Quindi la maggior parte della fantascienza non tenta di immaginare il futuro “reale” del nostro sistema sociale, ma tende a darne una rappresentazione prendendo spunto dal presente.
Dall’altra parte, vi sono le distopie del nostro secolo. Esse hanno una comune origine nella leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij. In essa viene sostenuta l’antinomia tra libertà e felicità: la prima diventa inevitabilmente un peso insopportabile per l’uomo, per cui solo un potere assoluto e autoritario è in grado di portare agli uomini la felicità.
Come fa notare Paola Gatti, tale tema viene ripreso in forme diverse dai tre romanzi distopici Noi, Brave New World e 1984, rispettivamente di Evgenij Zamjatin, Aldous Huxley e George Orwell.
Nel 1922 Evgenij Zamjatin, ingegnere e scrittore russo, compone la prima antiutopia del nostro secolo: Noi. Il romanzo si sviluppa in una serie di note in cui il protagonista, D-503, registra puntualmente ciò che gli accade: viene così descritto lo Stato Unico, con a capo il Benefattore, che nel 29º secolo riunisce sotto di sé l’intera umanità. Noi è una spietata denuncia non solo del regime sovietico instaurato da Stalin che ha tradito gli ideali della rivoluzione russa, ma rappresenta un atto di accusa contro ogni totalitarismo e contro la crescente meccanizzazione dell’uomo operata dallo sviluppo scientifico e tecnologico. [...]

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Identità aliene e viaggi nel tempo in Kindred e Xenogenesis di Octavia E. Butler

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Informazioni tesi

  Autore: Elena Rizzo
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lingue e letterature moderne euroamericane
  Relatore: Donatella Izzo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 125

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Parole chiave

schiavitù
gender
science-fiction
octavia e. butler
utopia/distopia

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