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Sulla Lingua di ''Horcynus Orca'' di Stefano D'Arrigo

Circa la struttura interna del romanzo e la critica

Dopo aver raccontato la storia di Ndrja, adesso andrò ad analizzare la struttura interna del romanzo.
L’Horcynus Orca è un romanzo di ampio respiro non solo per la sua mole, l’opera consta di ben 1258 pagine, ma anche per l’intreccio delle vicende ed il modo in cui esse sono narrate. Il romanzo si presenta al lettore come “una colata compatta” suddivisa da pochi spazi bianchi.
L’Horcynus Orca, infatti, non presenta capitoli, ma una serie di sequenze che, contenendo delle informazioni precise, fanno da spina dorsale alla vicenda.
Il lettore prende fiato solo in tre punti:
1) il traghettamento a Cariddi con Ciccina Circè;
2) l’incontro di Ndrja con Caitanello, suo padre;
3) l’incontro con l’Orca.
A dividere queste tre parti c’è poco più di una pagina bianca.
Il ritmo del romanzo è lento e, pertanto, appare faticoso alla lettura. Ho usato il verbo “apparire” poiché superate le prime 100 pagine si viene catapultati nel mondo del D’Arrigo dove, ogni parola, da ostica e di difficile comprensione, diventa fluida, ritmata, “normale”, ed il lettore viene così travolto dalla fluidità di ogni singola parola fino a comprenderne appieno il significato, diventando il “divoratore” del romanzo stesso.
I personaggi che Ndrja incontra raccontano tutti un particolare episodio della loro vita: un dolore, un addio, una passione. Il romanzo, quindi, risulta allungato, ma, in realtà, è solo meno precipitoso poiché giunge al triste epilogo più lentamente.
Si tenga presente che l’epos del romanzo si ha in 8 giorni, gli ultimi 8 intensi giorni in cui si consuma il destino di Ndrja. Lui, che lotta per la vita, ne esce irrimediabilmente sconfitto e, come in un clichè, se a lottare sono i miseri, si mette in moto una forza occulta che sembra ritorcersi su di loro con particolare virulenza e, come un pesce vorace o una fiumana o, a dir si voglia una marea, li distrugge e li travolge senza alcuna possibilità di sopravvivenza.
E’ come se ci fosse una mano invisibile che grava sugli uomini fin dalla loro nascita e li inchioda alla loro condizione.
Eppure, molti come Ndrja, non accettano, si ribellano: di qui la lotta disperata, perdente, dall’esito quasi scontato.
Per quanto riguarda la scelte stilistico-espressive dell’autore, questi ha manipolato la lingua in tutti i modi, l’ha piegata a suo piacere, ora realistica e precisa, ora fantasiosa ed essenziale. La lingua ha contribuito senz’altro a dare alla narrazione una freschezza espressiva assolutamente nuova ed originale. L’autore costruisce, quindi, un linguaggio “artificiale” tale da rendere il meglio possibile l’immediatezza e la colorita semplicità del parlato popolare. Usa pertanto una lingua di base siculo-calabrese dalla sintassi libera e continuamente punteggiata da espressioni tratte dai dialetti locali ma anche accademismi ed echi letterari. Questo linguaggio aderisce concretamente alle parlate locali:
“Intanto, a prua, il danzatore ripescava la traffinera, asciugava il ferro, lo lustrava col fazzolettone, fra indice e pollice, con la delicatezza dovuta a un diamante;[…]” [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Sulla Lingua di ''Horcynus Orca'' di Stefano D'Arrigo

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Informazioni tesi

  Autore: Claudia Diano
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Messina
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze della mediazione linguistica
  Relatore: Carmelo Scavuzzo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 96

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