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Il Brand Equity per il museo: possibilità e applicazioni.

Perché creare un brand equity per il museo

“Crea una marca e arriveranno” è la regola che riassume il concetto di branding all’interno del museo e anche in qualsiasi altro luogo che desidera aumentare i propri fruitori. L’immagine di marca è la promessa che viene sancita tra l’istituto museale e il suo pubblico, che è attratto e stimolato alla visita, mediante la comunicazione museale.
Alla base di questo “patto” si colloca il brand equity, che è non solo la genesi di tutta la politica di marca, ma anche il momento più delicato, in quanto vengono scelti i valori che si vogliono trasmettere al proprio pubblico di riferimento.
Risulta un’operazione fondamentale, perchè se le motivazioni e gli obbiettivi prefissati non sono forti, può divenire un boomerang per l’istituto museale: qualora non si stabilisse con chiarezza, infatti, ciò e in che modalità si vuole esternare, l’immagine della marca risulterebbe opaca e anonima. Il brand, di conseguenza, apparirebbe come qualcosa di omologato e standard senza una propria specifica qualità: il fatto di non differenziarsi rispetto alla concorrenza, non facendosi riconoscere, gli farebbe perdere qualsiasi significato e utilità.
Gli obbiettivi che il brand equity si prefigge, cambiano da museo a museo, in base alle necessità, al pubblico con cui ci si vuole relazionare, al contesto; esiste tuttavia, un’unica vera finalità comune, quella di aumentare il numero dei propri visitatori. Il museo, infatti, non si vuole focalizzare unicamente sull’eccellenza scientifica, com’era successo in passato, rivolgendosi in questo modo solo ad un pubblico di “pochi eletti”; tale un punto di vista viene ritenuto ormai obsoleto e limitate, in quanto capace al massimo di migliorare l’efficienza del museo ma non l’efficacia sull’utente. Per garantire questa ultima, appare, infatti, necessario concentrarsi sul visitatori e considerare:
- i significati che il museo può assumere per il singolo utente (come lo percepisce, come si relaziona con esso, che ruolo riveste nella vita delle persone );
- le modalità di percezione e di elaborazione che il pubblico ha nei suoi confronti (se lo percepisce come importante e prestigioso, piuttosto che come fonte di sapere o come luogo ameno dove trascorrere il tempo libero).
Sono le esigenze proprio dei consumatori che richiedono al museo di “parlare” di sé, per farsi conoscere e soprattutto riconoscere, in quanto abituati in altre circostanze ad avere quotidianamente un rapporto con l’immagine delle aziende. Questo risulta essere il vero cambiamento d’approccio del museo con ciò che è ad esso esterno: creare una reazione nei visitatori, suscitando in loro non solo un interesse ma una attrazione e la curiosità riguardo al luogo museale.
Selezionati e stabiliti gli obbiettivi durante la creazione del brand equity, risulta necessaria come seconda operazione, il monitorare costantemente quanto i valori siano ancora importati e se, soprattutto, sono stati superati i traguardi prefissati. Questa esigenza nasce dal fatto che percezione delle qualità legate al museo, può modificarsi nel corso del tempo, come del resto anche le finalità che si vogliono perseguire; in base alle nuove esigenze e ai risultati che si vorrebbero ottenere, il brand equity può cambiare e di conseguenza anche tutta la sua immagine coordinata.
Gli effetti maggiormente visibili sono quelli del cambio dell’allestimento museografico all’interno dell’istituto museale (si veda il lavoro realizzato dallo studio grafico Pentagram per il Victoria and Albert Musem di Londra) e del restyling del logo che nella maggior parte dei casi viene modificato unicamente nella parte di lettering. Il più delle volte, essa viene, abbandonata, in quanto il nome del museo è ormai entrato nei meccanismi del ricordo e delle e l’associazione nelle persone “logo – museo” e quindi risulta poco funzionale e inutile. Così è successo, per esempio, al logo del Museum of Modern Art di New York che oggi compare quasi sempre, unicamente sottoforma del suo acronimo senza riportare il nome per esteso, piuttosto che le nuvole del Witte de With che, dopo il restyling, appaiono prive della parte di lettering. Superfluo risultava, infatti, aggiungere a loro, il nome del centro d’arte contemporanea, in quanto si era ritenuto che oramai quella immagine fosse automaticamente riconducibile all’istituzione.
Il brand equity è comunicazione, quindi, nel senso più tecnico: è la scelta di supporti, di colori, del logo e di tutto ciò che concerne l’aspetto del museo. Questi non sono altro che gli strumenti che concorrono alla creazione di identità forte, in quanto il pubblico di oggi necessita di un supporto visibile, perché la società contemporanea si basa moltissimo sull’immagine e sull’informazione immediata.
Ogni museo, indubbiamente adotta le proprie, personali, forme d’espressione: i logoi risultano differenti sia per la scelta di tipologia sia per come vengono applicati, gli allestimenti cambiano da istituto ad istituto, le politiche di branding non risultano un sistema gestionale standard. C’è chi riveste, ad esempio, estrema attenzione al merchandising, alle pubblicazioni interne e ai negozi in cui li si possono trovare.
Rientrano, in questa tipologia d’atteggiamento, musei come il MoMA e The Warhol Museum che hanno creato una vera e propria variabile ad hoc del logo per i propri esercizi commerciali.
Altro caso di brand equity può essere quello che vede porre l’accento sull’architettura (solitamente d’apposita realizzazione), in quanto elemento accattivante del museo. È senza dubbio, il caso del Nascher Sculpture Centre di Dallas, che si è dotato di una apparato comunicativo basato sulla citazione stilistico - museografica del modulo architettonico utilizzato per il soffitto del museo, ovvero un foro che, nell’immagine coordinata, risulta raffigurato come un punto. Apparentemente simile, per via di una dialettica fra l’istituto museale e ciò che la circonda ma, differente per impostazione intenti, risulta il brand equity creato per il Forte di Bard in Valle d’Aosta. Il logo e la sua applicazione (le indicazioni per raggiungere il complesso diventano delle vere e proprie segnaletiche stradali) non sono altro che la costanza sottolineatura del rapporto che il Forte ha con il territorio circostante ma anche, più in generale, con tutto l’arco alpino. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Brand Equity per il museo: possibilità e applicazioni.

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Informazioni tesi

  Autore: Ilaria Valentinuzzi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2005-06
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Tesi sperimentale mutuata con la Facoltà di Economia Commercio
  Relatore: Luciano Caramel
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 203

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