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La canzone in scena. Il musicarello negli anni 50 e 60

Carosello napoletano: le canzoni dal teatro al film

Carosello napoletano è un film sul teatro e lo spettacolo della città di Napoli, che fa della scena musicale e teatrale e della sua storia, la storia stessa della città. Per questo motivo il protagonista principale è la sua Napoli, che si lascia godere da quei viaggiatori che scorrono il tempo contemplando le più belle cose di questo mondo.
«La mia prima idea di un ritratto di Napoli – dice Giannini - prese forma in un progetto per un film. Ma il cinema in Italia era rimasto prigioniero della sua genialità, nella nuova strada del neoralismo. Non erano ammesse alternative. Invenzione? Fantasia? Forse realismo magico? Nessuna adesione a questa possibilità».
Il regista non ha né un intreccio né un traliccio narrativo: fa scorrere i quadri scenografici attraverso il ritmo vivace della tarantella settecentesca, fino alle note più classiche del primo dopoguerra come, ad esempio, O’ surdato ‘nnammurato. Il successo autentico e spontaneo dello spettacolo teatrale Carosello napoletano suscitò nuovo interesse non solo per le vecchie e nuove canzoni napoletane, ma anche per le canzoni italiane moderne che la passione per la musica jazz e per le composizioni americane avevano fatto trascurare.
Proprio subito dopo lo spettacolo di Giannini nacque il Festival di Sanremo e l’anno seguente ebbe inizio, a Napoli, il Festival della canzone Napoletana, due manifestazioni che riscossero entrambe l’entusiasmo del pubblico. Le raffinate canzoni del ‘600 e ‘700 napoletano che Giannini aveva richiamate dall’oblio e portate a un nuovo successo, vengono ripresentate per anni, in varie occasioni, e l’influenza dell’opera di Giannini è chiaramente rintracciabile non solo nell’attività della Nuova compagnia di Canto Popolare, ma soprattutto nella originale composizione di Roberto De Simone dal titolo ‘La Gatta Cenerentola’.
Nel campo più strettamente musicale, influenzerà le ricerche di altri musicisti.
Purtroppo dello spettacolo teatrale non esiste nessun documento, fatta eccezione di qualche fotografia, nonché i commenti, le recensioni e, data importante la memoria dei pochi testimoni. Il Carosello teatrale più di quello cinematografico era riuscito a sollecitare una irresistibile suggestione, come a rendere, pienamente, la spontanea essenza dei napoletani. Diversamente nel film dichiara, in modo esplicito, la finzione scenica, senza occultare gli artifici, propri della rappresentazione teatrale. Giannini trasporta in pellicola il ‘mettere in scena’, attento ad evidenziare le azioni di chi agisce e di chi osserva. Egli faceva volgere, ai suoi personaggi, le spalle o il fianco alla macchina da presa diventando, così, veri e propri spettatori.
Se l’esperienza teatrale di Carosello napoletano si era concluso con un enorme successo, segnato dalle trionfali tournèes in giro per il mondo, è anche vero che il suo ricordo si sarebbe spento subito dopo la chiusura dell’ultimo sipario. Il regista sceglie, perciò, la via del cinema per lasciare una dichiarata traccia del suo lavoro, regalando alle nuove generazioni future un ricordo visivo di grande importanza e lo fa elaborando la messa in scena teatrale per lo spazio del cinema, ossia con il linguaggio della modernità. Napoli viene narrata, guardata, analizzata, dunque svelata: la città capricciosa, ingenua, quella che apre le affettuose braccia del suo golfo all’amico ed al nemico, perché possiede l’arte di saper conquistare anche il suo vincitore. Passano i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi, i Borboni, arrivano i piemontesi e gli americani, ma Napoli resta uguale ed eterna, tra miserie e grandezze, trionfi e calamità. «La vita è teatro – dice Giannini – e Napoli è un immenso palcoscenico».
La parola, in Carosello, diventa subito dialogo, la musica vibra nell’aria delle sue strade, circola tra le sue case. Lo spirito della danza illumina le plastiche movenze dello scugnizzo, anima i teatrali atteggiamenti di una baruffa in piazza. La danza è tarantella, rituale magico ed antropologico, ed ecco perché – continua il regista –la pittura, la musica, la parola e la danza sono chiamate a comporre ed animare il Carosello napoletano. Il passaggio dal teatro al cinema è come la ricerca di un completamento. Il regista è abile a muoversi tra le innovazioni: fonde con armonia il teatro ed il cinema, cosi che la scrittura filmica è esaltata da quella teatrale, facendone materia, linguaggio e immagine della drammaturgia cinematografica. Di tutta la produzione musicale per il cinema degli anni cinquanta questo film è l’unico – per rigore e felicità nell’invenzione scenografica e coreografica, per ricchezza dei costumi, per i forti legami con la tradizione musicale, integrazione perfetta tra regia teatrale e cinematografica – in grado di competere con i grandi musical americani. Prendendo a motivo conduttore la vita di una povera famiglia di un cantastorie ambulante, il cui albero genealogico si perde nel tempo, attraverso canzoni, luoghi, gesti, colori, maschere, Giannini cerca di portare sul grande schermo l’anima della sua città. Parte da una canzone antichissima ‘Michelemmà’, per giungere a quelle di fine ‘800 e dei primi del ‘900 ‘Funiculi funiculà’, ‘Santa Lucia luntana’, ‘O surdato ‘nnammurato’ creando una sorta di grandioso libro musicale, di grande intensità emotiva e culturale.
Interprete e portavoce delle disgrazie napoletane è la maschera di Pulcinella. Se il film tocca e fa vibrare ininterrottamente le corde dell’emozione, il culmine è rappresentato dalla morte di Antonio Petito e dal discorso del figlio al pubblico in sala: «Spettabile pubblico, recitando il monologo, mio padre è morto. Ma mi ha lasciato la sua maschera perché Pulcinella non lo possiamo far morire».
Giannini riesce a trasporre nel film gli aspetti della civiltà e della cultura napoletana, in maniera così perfetta e studiata da consentire allo spettatore di calarsi in quel mondo. Ecco che va in scena il motivo della tarantella, della maschera di Pulcinella, del gioco del lotto, della confusione che popola le strade di Napoli. Queste ultime appaiono come animate dai luoghi di un ‘presepe’ reale, dalle feste che illuminano ed agitano i quartieri, pervasi di energia, e che si concludono con la spettacolarità astratta dei fuochi d’artificio sul mare. Il film non guarda al racconto, bensì al profondo senso etico, a quella morale tra tradizione e storia, che è la vera anima di questa città, del suo ritmo, della sua musica.
«Con il suo unico film Giannini ha avuto il merito di fissare per sempre nella nostra memoria di spettatori del dopoguerra un quadro e uno spirito della città che, nonostante tutto, non possiamo e non vogliamo far morire».

Questo brano è tratto dalla tesi:

La canzone in scena. Il musicarello negli anni 50 e 60

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Informazioni tesi

  Autore: Angela De Gregorio
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia
  Relatore: Raffaello Mazzacane
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 88

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