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Politiche autoriali. Sceneggiatura contro regia, da Aristotele alle serie tv contemporanee

Le tre Golden Age della televisione: come i serial hanno superato il cinema

Nonostante, come ci ricorda Robert Thompson, «in quanto espressione artistica, la televisione è ancora alla sua infanzia» (in Maio, 2009, p. 9) - perché al contrario di poesia, musica e teatro non ha una tradizione millenaria e persino il cinema esiste da qualche decennio prima - la storia del mezzo televisivo ha già conosciuto almeno tre fasi di grossa trasformazione.
La prima ha luogo tra la fine degli anni Quaranta e quella degli anni Cinquanta, è ricordata come Golden Age ed è caratterizzata dalla produzione massiccia di teledrammi a carattere antologico: all'inizio trasmessi in diretta e solo dopo qualche anno impressi anche su pellicola. Queste opere, nonostante si avvalgano di ottimi registi ed attori (Marlon Brando e Paul Newman iniziano la loro carriera così), sono perlopiù banali adattamenti letterari nati sotto il «rigido controllo degli sponsor» (Grasso, 2007, p. 30) per «attrarre l'audience delle nuove famiglie delle aree suburbane» (ivi., p. 29). Esistono, però, delle eccezioni di valore assoluto: Alfred Hitchcock presenta (Alfred Hitchcock Presents/Hour, 1955-1965; creata da Alfred Hitchcock) e il già citato (nel secondo capitolo) Ai confini della realtà.
La serie di Hitchcock rappresenta una pietra miliare nel percorso di crescita artistica del mezzo televisivo. Infatti, Hitchcock è insieme a Walt Disney «uno fra i primi grandi uomini di cinema a investire il proprio ingegno e la propria passione nella realizzazione e nella supervisione di una serie televisiva» (ivi., p. 31) e «sarà proprio questo compromesso fra la valorizzazione di una forte autorialità e l'industrializzazione della produzione a segnare la strada» (ibidem.) che porta al grande fermento ed alla straripante qualità dei giorni nostri. I trecentocinquanta episodi della serie ricalcano storie e tematiche dei film che il maestro inglese girava proprio in quegli anni, ma di questi solo diciassette sono firmati dal regista.

Ai confini della realtà, ideato da Rod Serling, introduce, invece, gli spettatori di mezzo mondo a temi come l'inspiegabile e il soprannaturale ma «ogni figura, ogni storia, ogni personaggio diventa […] metafora della condizione umana e della società americana fra gli anni Cinquanta e Sessanta» (ivi., p. 50). La serie ha un enorme successo e finisce con l'influenzare generazioni di autori e cineasti tanto che, nel 1983 registi sulla cresta dell'onda come John Landis, Steven Spielberg, Joe Dante e George Miller la omaggiano realizzandone un adattamento cinematografico ad episodi25. Lo stesso Spielberg, qualche anno più tardi, tenterà (fallendo) di replicarne i fasti con Storie incredibili (Amazing Stories, 1985-1987). Questa serie, infatti, verrà ricordata più per gli incredibili nomi dei registi coinvolti (Joe Dante, Clint Eastwood, Danny De Vito, Robert Zemeckis, Martin Scorsese e Kevin Reynolds) piuttosto che per le storie scritte da Spielberg, Joshua Brand e John Falsey.

Chiusa questa prima pionieristica fase, l'inizio della seconda Golden Age coincide con quello degli sfarzosi anni Ottanta: se la prima golden age vede un nuovo medium (la tv dal vivo) cercare di comprendere come adattarsi alle forme di un vecchio medium (il teatro e il vaudeville), la seconda vede il nuovo medium sviluppare nuove forme narrative che si possono adattare alle limitazioni e alle caratteristiche della stessa televisione. […] Ciò che segue è un decennio di serie innovative definite come “televisione di qualità” […] questi shows si presentano come più letterati e cinematografici di qualsiasi cosa vista prima, ed esibiscono una profondità narrativa, una densità, e una serializzata complessità usualmente associata al romanzo piuttosto che alle serie tv [e] sceneggiatori-produttori come Steven Bochco e David E. Kelley cominciano ad emergere come potenti creatori in grado di imporre il loro stile nei loro prodotti. [Però] nell'arco degli anni Ottanta, questi shows “di qualità” rimangono l'eccezione alla programmazione regolare (Thompson, in Maio, 2009, pp.10-11).
La nascita di questa tv di qualità si deve principalmente a due motivazioni, una di carattere economico/industriale e l'altra di carattere sociale. «In primo luogo, si rompe il monopolio televisivo con l'ingresso del nuovo network Fox (1986) e con la crescita e diffusione di canali via cavo come Hbo» (Grasso, 2007, p. 73), mentre, in secondo luogo, non vengono realizzati «più prodotti più o meno adatti a tutti, ma telefilm capaci di attrarre un nuovo pubblico cresciuto con la tv: più esigente, smaliziato, desideroso di nuovi stimoli» (ivi., p. 74). La serie che fa da spartiacque e che generalmente è riconosciuta come portatrice delle grandi innovazioni che vediamo oggi sviluppate ai massimi livelli è Hill Street giorno e notte (Hill Street Blues, 1981-1987; creata da Steven Bochco e Michael Kozoll). In questa serie, in onda sulla Nbc, i due sceneggiatori sfruttano a proprio vantaggio la capacità tipica delle soap opera di raccontare le storie di un molteplice numero di personaggi. Agendo così, riescono a rinfrescare e complicare la struttura narrativa che adesso, per la prima volta, «si presenta frammentata, disgiunta, con linee narrative multiple» (ivi., p. 75) e le cui «storie sono narrate con un linguaggio diretto, con tecniche semi-documentaristiche (uso della camera a mano)» (ibidem.). Quella di Hill Street giorno e notte è, insomma, una tv che prendendo il meglio dal suo passato riesce ad innovarsi, a narrare le problematiche della società in maniera cruda e senza banalità riuscendo a trovare così una propria ragione d'essere emancipandosi definitivamente dal cinema (cfr. ivi., p. 79). Si è vicini alla maturità ma manca ancora qualcosina, perché se Hill Street rappresenta un'oasi nel deserto, allargando lo sguardo «ci troviamo ancora in un'epoca televisiva contraddistinta da serie ''classiche'', decisamente convenzionali per quanto riguarda la composizione dell'immagine e il linguaggio visivo utilizzato» (Innocenti e Pescatore, 2008, p. 33) e dove nella maggior-parte dei prodotti «prevale ancora la narrazione ad episodi autoconclusivi, che autorizza a una visione meno fidelizzata e assidua» (ibidem.). Per non parlare poi del linguaggio visivo che privilegia ancora «le riprese in interni, i dialoghi girati in campo/controcampo e le inquadrature in campo medio o in primo piano» (ibidem.). [...]

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Politiche autoriali. Sceneggiatura contro regia, da Aristotele alle serie tv contemporanee

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Belcastro
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Linguaggi dello Spettacolo, del Cinema e dei Media
  Relatore: Marcello Walter Bruno
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 137

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