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Cooperazione e conflitto nel sistema internazionale e regolazione dei global commons

La pirateria somala

La Somalia è caratterizzata dagli anni ’90 dalla divisione del suo territorio tra il nord, con regioni relativamente stabili governate da autorità responsabili, e il sud dominato da violenza ed anarchia. Il principale ostacolo alla stabilizzazione del sud è la mancanza di una visione d’insieme e dalla corruzione diffusa nel Governo Federale di Transizione istituito nel 2004, che hanno impedito gli avanzamenti dal punto di vista politico. Ad aggravare la situazione sono poi una serie di tensioni e movimenti regionali sviluppatisi in diverse zone del territorio, come nelle regioni di Sool e Sanaag.
Dopo la dispersione di Hibul Islam nel Dicembre 2010, la principale fonte si problemi è rappresentata dal gruppo armato insurrezionalista islamista Al-Shabaab, che di fatto controlla il sud della Somalia. La minaccia è amplificata dalla debolezza e dalle divisioni del GFT, che dipende fondamentalmente dagli aiuti internazionali per l’azione di contrasto.
La vicinanza a snodi commerciali fondamentali, la debolezza dello stato e delle istituzioni con le conseguenti aree in governate, la corruzione dilagante rendono la Somalia il punto di partenza fondamentale per lo sviluppo della pirateria. Il problema si è andato progressivamente acutizzando a partire dalla caduta del regime di Siad Barre nel 2001 ed è rimasto relativamente limitato per alcuni anni, per poi subire una netta accelerazione negli ultimi cinque. A seguito della caduta del regime le acque territoriali somale rimasero senza alcun controllo, un altro elemento che ha favorito l’emersione del fenomeno potrebbe essere inoltre ritrovato nell’ulteriore peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni a seguito dell’invasione da parte dell’Etiopia nel 2006, che ha spinto altra gente ad unirsi ai gruppi di pirati in mancanza di altre alternative. Dal 2003 al 2008 si sono verificati 1845 attacchi o tentativi di attacco. Nel 2008 in particolare, il 37% degli attacchi è avvenuto nel Golfo di Aden o nei mari intorno al Corno d’Africa. La pirateria somala, nata come un’attività di gruppi che fingendosi forze dell’ordine richiedevano tasse inesistenti ai pescherecci, si è trasformata nel corso degli anni in un business dai profitti altissimi. [...]
Un report della RAND Corporation evidenzia tre cause fondamentali che hanno portato all’aumento dell’incidenza degli atti di pirateria. Primo lo sviluppo di tecniche di navigazione più efficaci che prevedendo equipaggi ristretti ed imbarcazioni piccole e veloci dotate di sistemi di posizionamento avanzato, che tendono a vanificare gli sforzi internazionali di contrasto. Secondo le difficoltà associate alla sorveglianza marittima a seguito degli investimenti degli stati nella sicurezza nazionale dopo gli attentati dell’11 Settembre, che hanno lasciato poche risorse all’azione di prevenzione. La terza ragione messa in evidenza è infine il basso livello di sicurezza nei porti e nelle zone costiere hanno incoraggiato atti di pirateria di basso livello contro imbarcazioni in porto o all’ancora. Questo ultimo profilo è particolarmente rilevante in particolare per alcune zone come il Mar Arabico, il sud est asiatico, il Bangladesh ed alcune nazioni dell’America Latina come Brasile e Perù.
Anche la relativa facilità con cui gli armatori sono stati disposti a pagare i riscatti richiesti ha contribuito a creare nuovi incentivi. Il pagamento del riscatto risulta infatti essere il più delle volte la soluzione più veloce e meno costosa; limitando danni alle persone, alle navi ed ai carichi.
Le tecniche utilizzate consistono essenzialmente nel posizionamento di imbarcazioni nelle zone più trafficate con equipaggi da quattro a sette persone. I gruppi non posseggono infatti il più delle volte informazioni precisi sui transiti e sulle rotte, si limitano quindi ad attendere cercando di mimetizzarsi come pescherecci inoffensivi, sia agli occhi delle imbarcazioni da assaltare sia alle navi militari che pattugliano l’area. L’utilizzo di armi da fuoco è stato registrato nel 92% degli attacchi dal 2008.
Nonostante le tecniche e le strategie siano essenzialmente rimaste costanti, si può notare una notevole capacità di adattamento dei pirati al mutamento dell’ambiente e degli sforzi internazionali di prevenzione. Dopo l’impennata degli assalti verificatasi nel 2008 la comunità internazionale ha impiegato notevoli energie nel contrasto alla pirateria in particolare nel Golfo di Aden ed intorno allo Stretto di Hormuz, che rappresentano i punti nevralgici del sistema degli scambi. La risposta data dai pirati a questo cambiamento è stata decisamente efficace, spostando l’area delle operazioni in alto mare ma sempre sulle rotte più trafficate e servendosi di “navi madre” per gli spostamenti più lunghi. A bordo delle “navi madre” vengono imbarcati e nascosti dei piccoli ma potenti motoscafi utili agli assalti. Questa tecnica ha permesso di portare a termine azioni e distanze anche superiori alle 500 miglia dalla costa, espandendo così tanto l’area da rendere quasi impossibile un controllo totale.
Gli attacchi confermati nel 2010 sono stati 219, a fronte di 35 nel 2005, con una crescita dei riscatti totali da 150.000 a 238 milioni di dollari.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Cooperazione e conflitto nel sistema internazionale e regolazione dei global commons

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Informazioni tesi

  Autore: Paolo Gotelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze internazionali e diplomatiche
  Relatore: Giampiero Cama
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 97

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