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Questioni di fine vita

Accanimento terapeutico

Il Codice Medico Deontologico dichiara all'articolo 16 che "Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita."
Questa posizione è condivisa anche in ambito religioso, infatti la Pontificia Accademia Pro Vita si esprime così:

Nell'immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile ed imminente "è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita" […] poiché vi è grande differenza etica tra "procurare la morte" e "permettere la morte": il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa.

Ci sono diverse tipologie di accanimento terapeutico, la prima delle quali è l'insistere con procedure medico-chirurgiche che non migliorano la qualità di vita del malato e non incidono in modo significativo sul decorso della malattia. Da quanto detto sembrerebbe semplice evitare un'azione inutile sulla salute del paziente, ma spesso i familiari, il medico e anche il malato possono trovarsi in condizioni emotive tali da richiedere interventi che vanno ben oltre l'uso ragionevole delle cure mediche. I familiari, davanti ad una malattia terminale, potrebbero richiedere per il loro congiunto degli interventi che soddisfano più le loro necessità emotive che non un'effettiva necessità terapeutica, determinando una sensazione di abbandono nel caso di sospensione di farmaci o di altre azioni mediche. Anche il medico, pur se non coinvolto emotivamente, potrebbe essere investito dalle emozioni dei familiari, che lo riterrebbero l'unico responsabile di eventuali sospensioni di terapie. Questo può portare il medico ad eseguire trattamenti inutili per non entrare in conflitto con i familiari. Quindi vediamo come la difficoltà di non cadere nell'accanimento terapeutico sia reale, in quanto l'irrilevanza dell'intervento deve essere compresa non solo dal medico, ma anche dai soggetti coinvolti.
Un'altro modo in cui si può presentare l'"accanimento terapeutico" è tramite l'utilizzo di mezzi straordinari o sproporzionati. Si definisce straordinario quel mezzo che in base al contesto clinico supera le ordinarie possibilità del paziente di trovar giovamento dal trattamento. I familiari, per tentare tutto il possibile, potrebbero spingere il medico a ricorrere ad un mezzo straordinario, anche se inutile. Infine, si può parlare di accanimento terapeutico se si vogliono prolungare le funzioni vitali nonostante si stiano spegnendo: è il caso della morte cerebrale, in cui, anche se alcune funzioni sono intatte, il paziente è morente. In queste particolari condizioni, il medico si trova davanti a delle difficoltà che non sono semplici da gestire. I principi a cui il medico è chiamato a riferirsi sono, come visto, l'autonomia, la beneficenza e non maleficenza, tenendo conto anche di una distribuzione equa delle risorse mediche. Ora, i principi generali di riferimento possono creare comportamenti opposti, tanto che da un lato si potrebbe parlare di accanimento terapeutico, dall'altro di eutanasia, in quanto entrano in gioco le soggettive interpretazioni dei medici sui concetti di libertà, beneficenza, giustizia. Anche l'utilizzo della distinzione tra mezzi ordinari e straordinari può essere oggetto di differenti interpretazioni da parte dei medici, e l'unico giudice sembra diventare, in certi casi, solo il medico con la sua personale coscienza. L'esempio di un caso clinico di Umberto Veronesi mostra proprio come a volte sia solo il medico il giudice. Il Professore racconta una sua esperienza: un malato terminale era sedato in modo profondo (non cosciente) e Veronesi era d'accordo all'utilizzo della sedazione fino al sopraggiungere della morte, in quanto le terapie che potevano essere eseguite a suo giudizio non avrebbero portato nessun beneficio. Contemporaneamente, però, un medico suo collega, che aveva anche lui sotto cura il malato, ha ritenuto opportuno provare una terapia ulteriore per allungare la vita al paziente. Per procedere, però, bisognava risvegliare la persona dalla sedazione profonda. I due medici, per varie questioni, non poterono entrare in contatto per decidere una linea comune d'intervento, così il secondo medico decise di risvegliare il paziente per intraprendere la terapia. In questo caso specifico, la terapia non ebbe l'effetto desiderato, ciò che si ottenne fu solo un prolungamento delle sofferenze. Avrebbe potuto funzionare, però, ottenendo un alleviamento del dolore e un prolungamento della vita.
La questione che sorge è che per Veronesi l'uso della terapia del collega era un mezzo straordinario e inutile, ma per l'altro medico no. È in questi casi che si possono verificare difficoltà di discernimento tra mezzi ordinari e straordinari, in quanto i parametri, anche se tecnici, risentono della soggettività del singolo medico. Senza contare che un medico nella stessa situazione, dove non sia presente la volontà espressa del paziente, potrebbe ritenere qualitativamente soddisfacente consentirgli di vivere una settimana in più con forti dolori, e contemporaneamente un altro medico potrebbe giudicare inutile fargli vivere questa settimana. Entrambi i medici entrerebbero in un giudizio sulla qualità della vita del malato. È facile rendersi conto che un medico "religioso" potrebbe non vedere del tutto assurda la prima proposta, invece un medico "laico" sì; questi giudizi sono necessariamente legati ai valori soggettivi dei medici. Questo evidenzia come sia viva la necessità di una continua riflessione bioetica, la quale dia al medico la possibilità di una valutazione il più possibile oggettiva nel rispetto dei principi professionali.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Questioni di fine vita

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Santamarianova
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Stefano Semplici
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 115

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