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Clint Eastwood tra classico e (post)moderno

Un Eastwood inedito: i Ponti di Madison County

Tra i vari generi con cui si è confrontato Eastwood vi è anche il melodramma. La regia di I ponti di Madison County non è arrivata da una sua iniziativa, ma da una serie di circostanze. Il regista, infatti, è stato coinvolto nell’adattamento del best seller strappalacrime I ponti di Madison County, di Robert James Waller, non ben considerato dai critici letterari. Steven Spielberg, Sidney Pollack, Robert Redford e Bruce Beresford, per motivi diversi, hanno declinato l’offerta (anche se Spielberg resta produttore) e Eastwood, quasi a sorpresa, decide di accettare la regia. Colpisce già il fatto che egli si confronti con questo tipo di contenuti, sebbene abbia già dimostrato che nei suoi film non ci sono solo sparatorie e giustizieri. La sceneggiatura di Richard LaGravenese, ad ogni modo, è già stata “asciugata” da tutti gli eccessi retorici del testo, sviluppando la storia che fa da cornice e inventando opportunamente alcuni personaggi secondari – a partire dall’adultera con la quale si confrontano, in momenti diversi, i due protagonisti.

La vicenda si svolge nell’estate torrida dello Iowa del 1965: il fotografo del National Geographic Robert Kincaid giunge a una vecchia fattoria in mezzo ai campi per chiedere informazioni sui ponti di Madison County, che dovrà fotografare. Qui conosce Francesca Johnson, una dimessa quarantenne casalinga e madre di due figli. In assenza della di lei famiglia, tra i due sboccerà la passione.
Il film si connota da subito di una tonalità funebre. La storia d’amore, infatti, è quella di due morti, narrata in flashback e incorniciata tra la lettura di un testamento e una dispersione di ceneri tra acqua e cielo. Il centro è costituito dalla doppia apertura della cassa dei ricordi, con le lacrime conseguenti. Si tratta, dunque, a tutti gli effetti di un classico melodramma, impudico, laconico, verboso, tutte caratteristiche apparentemente estranee a Eastwood. Soprattutto, spiazza il fatto che la protagonista assoluta sia una donna, vista la propensione del regista per eroi prettamente maschili. Il suo personaggio, invece, una sorta di macho abbastanza in là con l’età, non possiede una statura eroica che invece ha la casalinga interpretata da Meryl Streep. Kincaid è destinato a una scomparsa prematura, anticipata tra l’altro all’inizio. Aleggia quasi un masochismo pari a quello di La notte brava del soldato Jonathan, senza la consolazione di alcuna resurrezione. Il fotografo viene dal nulla e nel nulla ritorna (torna l’aspetto della fantasmaticità di cui si diceva sopra), lasciando tracce sparse qui e là, oggetti che a Francesca tornano postumi e che scopriranno i figli, attraverso un sistema di ripetizioni e rimandi che bagna da subito il film di un tono funebre. Eastwood è abile nel lasciar spazio alla Streep, e nello sfruttare appieno le sue doti drammatiche.

Ciò che domina, in particolare in questo film, è un’assoluta semplicità, una trasparenza mai eccessiva o intellettualistica dei dialoghi, una chiarezza e una bellezza delle cose semplici che solo la bravura del regista californiano sanno rendere. Nelle mani di qualcun altro, molto probabilmente, il risultato sarebbe stato una melassa di luoghi comuni, come del resto è il romanzo da cui è tratto il film. Eastwood adatta il suo stile discreto alla storia, e ciò si manifesta, tra l’altro, nell’uso del piano-sequenza, che non è mai stucchevole o improvvisato; al contrario, denota pazienza affinché le cose accadano naturalmente, nella semplicità del loro farsi. Vi è, poi, una grande cura del sonoro (risultano tangibili i rumori della campagna), un’eleganza nei momenti più lirici e astratti, così come nelle scene d’amore tra i due. Eastwood punta tutto sul suo stile inconfondibile, sul suo tocco da maestro che sa come trattare certi temi, anche se ad un’analisi attenta non troviamo molti contenuti: la storia è di per sé scontata e banale, ma è nel modo in cui viene raccontata che sta l’interesse del film. Come in Un mondo perfetto, il regista opera una riflessione sullo scorrere del tempo, fa percepire chiaramente il corso inarrestabile degli eventi, il desiderio che nasce poco a poco. La banalità dei dialoghi è accettata, in quanto frutto dell’universalità della storia raccontata: l’amore passionale tra due amanti. Qui più che mai Eastwood utilizza pochi movimenti di macchina, non evita i classici campo-controcampo didascalici e le ripetizioni, adotta poca musica – se non d’accompagnamento e filtrata dalla radio – fino all’esplosione finale, un tema composto da lui stesso. I ponti di Madison County rappresenta un unicum nella filmografia eastwoodiana, in quanto unico melodramma, e testimonia la versatilità di un regista che ha saputo e sa misurarsi con diversi generi.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Clint Eastwood tra classico e (post)moderno

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Carpanese
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale
  Relatore: Christian Uva
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 126

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