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Virtual set. Percorsi fra teatro e tecnologie

Lo spettatore contemporaneo

Alla fine di questo percorso analitico sulle interazioni tra la tecnologia e gli elementi del teatro, e dopo aver spiegato le novità che vengono apportate dalla rivoluzione digitale, proviamo a rifare questo percorso cambiando orizzonte, guardandolo dalla parte dello spettatore e cercando di capire come questi aspetti arrivino a chi guarda e in che modalità. È infatti innegabile come il teatro, soprattutto nei suoi aspetti sperimentali, nella nostra società contemporanea, stia subendo una diminuzione di pubblico. Per lo spettatore medio sembra andare bene solamente l’allestimento tradizionale, mentre non vi è una fruttuosa divulgazione di opere multimediali e sperimentali. Inoltre, il concetto di laboratorio antropologico e di teatro come specchio e modello della società non sembra attecchire e sostituire quello di evento ludico e di passatempo. Rimane ancora una peculiarità per pochi esperti e colti amatori.
Eppure, come vi è stata una rivoluzione digitale nel fare teatro, è necessariamente seguita una rivoluzione analoga sul guardare il teatro. Lo spettatore ha bisogno di nuove linee guida, di un nuovo approccio, e anche di una nuova identità. Nel corso dei capitoli precedenti abbiamo accennato a nozioni come “teatro relazionale”, “spett-attore”, “spettatore collettivo”. Cerchiamo quindi di capire meglio cosa si intende con i termini sopracitati e il percorso che ha portato alla loro elaborazione.
Già Svoboda aveva intuito l’importanza di un ritorno al teatro come guida della società tramite un approccio più attivo verso lo spettatore:

In tanti anni di lavoro sono giunto alla conclusione che nel processo drammatico il ritmo efficace si ottiene proprio con l’avvicendamento tra cose semplici e cose complesse, cioè con la scoperta delle cose complesse sotto una superficie semplice e viceversa. Ma tutto questo non avrebbe senso se il procedimento non trovasse risonanza nella coscienza dello spettatore. Se non credessimo a questa risonanza e identificazione, dovremmo rinunciare alla speranza di scoprire cos’è veramente l’arte, e quindi limitarci ad avere una funzione didascalica. Se il nostro lavoro deve avere un senso, dobbiamo vedere nel pubblico un partner alla pari a cui non ci sia bisogno di raccontare la storia di Romeo e Giulietta, perché la sa già.

La rivalutazione della funzione teatrale, secondo il maestro praghese, avviene solo in vista di una parità tra performatività e pubblico. In questo senso, bisogna lavorare per un’ educazione dello spettatore che permetta una conoscenza di base della tradizione teatrale, per poter instaurare con lui un dialogo. Il teatro è quindi esso stesso movimento, dialettica, flusso di informazioni, tensioni e talvolta scambio di ruoli tra chi agisce e chi guarda; non pretende di essere completo, rifiuta ogni staticità, passività, dello spettatore.
Il raggiungimento di questo scopo, secondo Svoboda, è una simbiosi tra scena e platea che si chiama “rito popolare”.
Sicuramente, nel fare un’analisi della ricezione teatrale bisogna essere consapevoli della complessità e della varietà di persone che rientrano nella categoria pubblico: molti fattori sono di tipo sociale e antropologico, e variano tanto da aver anche portato alcuni studiosi a credere anche all’impossibilità di uno studio sul pubblico perché non circoscrivibile a dei canoni teorici, in quanto, ogni volta, ad ogni rappresentazione, si prospetterebbe una situazione ricettiva sempre diversa.
Come lo ha definito Romeo Castellucci, “lo spettatore resta un oggetto misterioso, la ‘bestia nera’ temuta da chiunque salga su un palcoscenico” e, aggiungiamo noi, da chiunque tenti di studiarlo. In questo senso, vi è una forte affermazione dell’esperienza teatrale come evento unico e sovra scientifico, che non è razionalizzabile del tutto.
Nonostante ciò, lo studio della ricezione teatrale è proseguito nel tempo, arrivando ad elaborare teorie sociologiche e antropologiche che indagano non un modello astratto, come lo spettatore modello di Eco, ma che si rivolgono a caratteristiche più specifiche e diversificate.
Si parte dal presupposto che il pubblico sia composto da tanti spettatori individuali, e questo insieme sia un “corpo di pensiero e di desiderio, ascolto sensibile che prende nelle sue morse gli attori”. All’inizio c’è un rapporto certo, quello tra chi guarda e chi è guardato, che è di tipo convenzionale: entrambe le parti sono coscienti, infatti, che ciò che accade non è la realtà ma una simulazione della realtà. È il patto teatrale, un contratto fiduciario tra le due parti che consente di porsi nella giusta ottica. Citiamo Richard Schechner:

l’evento teatrale è teatro solo perché è ideato come teatro, presentato come teatro, recepito come teatro. (…) All’interno della formula ‘questo è teatro’, è presente ogni concepibile tipo di comportamento – dal più tranquillo e mondano al più intenso ed emozionante.

Dato per assodato questo punto iniziale, bisogna anche tenere conto delle diversità che si approcciano al teatro ed elaborare teorie e schemi flessibili (e in parte aperti) che possano tenere conto di questa varietà. Le diversità non sono solo di ordine sociale, ma secondo una ricerca riportata da Pavis, riguardano aspetti come i fattori di scelta di uno spettacolo in particolare, la struttura socio-demografica del pubblico, la politica dei prezzi, le critiche e recensioni lette, il giudizio dello spettatore su se stesso, oltre al tipo di studi fatto, il grado di conoscenza e di cultura.

In seguito occorrerà soffermarsi ad analizzare anche la modalità di inserimento sociale dello spettacolo stesso, come si approccia alla realtà che lo circonda e che relazioni vi instaura, e ugualmente il gruppo di autori-attori.
Accanto a fattori sociologici e antropologici, per una buona analisi occorrerà riprendere anche criteri estetici, come l’orizzonte di aspettativa, “quello del pubblico in un dato momento, di fatto dalle condizioni della società, della sua conoscenza del genere teatrale, dei suoi interessi del momento”; l’insieme dei codici usati, criterio molto importante nella nostra epoca dove i linguaggi abbondano in rapporto alle condizioni prericettive del pubblico, cioè delle competenze assunte per capire se chi guarda è in grado o meno di comprendere i linguaggi che si svolgono in scena.

Altro elemento importante è l’esperienza artistica maturata, che permette il paragone, il confronto e la maturazione di un gusto personale, ultima caratteristica che spesso, a nostro parere, non viene tenuta abbastanza in considerazione, ma che è talvolta il primo criterio di giudizio e anche il primo motivo, anche se superficiale, di rifiuto di certe tipologie di spettacolo. Questo è un criterio spesso ritrovato e, di conseguenza, posto sotto accusa, in quella parte di pubblico “digiuno” di teatro, cioè che non frequenta in maniera abituale le sale teatrali e che non ha una grande cultura storico-artistica. Riguardo questo argomento, condividiamo l’opinione di Ponte di Pino per cui “anche lo spettatore digiuno di teatro ha già sedimentato una ricca esperienza culturale, fatta di pratiche, codici, abitudini, attese. I ‘non spettatori’ non sono isolati dalla cultura, sono soltanto lontani da un certo tipo di cultura”. Infondo, è proprio grazie al cambiamento del gusto del pubblico e quindi alla diversità ricettiva che il dispositivo teatrale si è modificato nel tempo.
Dati per assodati questi parametri da considerare, e partendo proprio dall’obiezione soggettiva che muove spesso il gusto personale, cerchiamo di seguire e capire come è avvenuto nel tempo l’approccio al teatro e al suo divenire cronologico, in rapporto alle sue diverse sfaccettature assunte.

La predominanza del testo, ma soprattutto la presenza di una linea narrativa, di una fabula, ha da sempre portato lo spettatore a ricercare un filo conduttore logico, semiotico, a ciò che veniva portato in scena. Fin dall’antichità, infatti, il teatro era il luogo predisposto al racconto di una serie di vicende che accadevano a determinati personaggi secondo un andamento lineare nel tempo. L’oggetto drammaturgico era una storia, che poi, nel tempo, ha assunto una valenza catartica, didascalica, romantica, illusionistica, ma sempre fortemente legata alle caratteristiche dell’essere umano e delle sue vicende interiori ed esteriori.

Il teatro è nato nell’antica Grecia insieme alla democrazia. Alla polis ateniese ha offerto uno spazio in cui riflettere collettivamente – a partire da un mito condiviso, da un racconto - sui valori fondanti della comunità: la tragedia nasce intorno a dilemmi etici (al limite religiosi) e civili (prima ancora che politici). 

In epoca classica, la rappresentazione di miti e storie di re ed eroi era funzionale ad una catarsi ricettiva, un coinvolgimento del pubblico ad un livello profondamente emotivo che comportava una purificazione dalle emozioni negative ed una riflessione sull’essere umano; parallelamente la commedia metteva in scena dinamiche sociali e politiche che miravano alla costruzione di un dibattito tra cittadini. Se ci soffermiamo sul teatro shakespeariano, vediamo come il rapporto attore-spettatore si fa più vicino. Un teatro di parola, che evoca l’ambiente nella mente di chi guarda, è un teatro che necessita di ascolto ma anche di una comprensione chiara. Il pubblico shakespeariano era un pubblico che voleva capire, voleva partecipare alle vicende raccontate:

ai giorni di Shakespeare…esisteva un chiaro accordo secondo cui nel teatro era presente un pubblico, a contatto immediato del poeta e dei suoi attori. (…) C’era un rapporto continuo fra gli attori e il loro pubblico. Gli attori erano a faccia a faccia con la gente…(…) Il drammaturgo deve creare lui la sua illusione: ‘Ma guardate: il Mattino avvolto in un manto rossigno/avanza sulla rugiada di quell’alto colle a oriente’. (…) nel teatro di Shakespeare il pubblico partecipa allo sviluppo della scena.
[…]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Virtual set. Percorsi fra teatro e tecnologie

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Informazioni tesi

  Autore: Caterina Mancinelli
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: DAMS - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Enrico Pitozzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 129

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