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Digitalizzare un manoscritto

Parlando di digitalizzazione dei manoscritti, bisogna innanzitutto considerare la sua natura di manufatto contenente scrittura tracciata a mano e che generalmente è composto in forma di libro (Petrucci, 1984). Proprio per questo è fondamentale distinguere molto bene la dicotomia della codifica c’è tra interpretazione materiale e interpretazione logica.

Scrive Orlandi17: “Nel caso della codifica informatica di testi manoscritti un aspetto importante è costituito dalla essenziale differenza fra l’aspetto del modello e la sostanza del prodotto che viene depositato nella memoria di tipo digitale. Infatti, mentre il supporto della scrittura e la convenzione che presiede alla sua utilizzazione fanno sì che la disposizione dei segni sia bidimensionale (posizione all’interno di una superficie piana), il supporto magnetico, o comunque l’ideazione di una codifica binaria sfruttabile elettronicamente, esige che si possa considerare soltanto una sequenzialità pura dei segni, e dunque unidimensionale.

Nei riguardi della scrittura, questo elimina le possibilità di riproduzione analogica che in quel caso si sono sempre mescolate alla riproduzione mediante codifica, sotto la forma di una imitazione più o meno precisa dello schema grafico del modello. La codifica informatica dovrà rendere espliciti gli elementi informativi contenuti nello schema grafico.”

Un’altra differenza molto importante tra il manoscritto e il testo a stampa consiste nella possibilità di inserire disegni e tavole che si è sicuri che si tramanderanno esattamente come è voluto dall’autore (questo tipo di interventi sono i più difficili da codificare in modo binario in quanto orientato tipicamente in modo analogico). A questo l’informatica prova a porre rimedio grazie agli ipertesti. In sintesi comunque, bisogna osservare che mentre libri e un documenti stampati sono sistemi per cui possono bastare i linguaggi di marcatura, i sistemi di cui è costituito un manoscritto necessitano di un modello molto più complesso considerando elementi abbastanza vaghi come l’ortografia, il disegno dei glifi o l’impaginazione.

Come fare quindi a digitalizzare un manoscritto? Bisogna prima di tutto destrutturare il manoscritto identificando i suoi elementi minimi e la loro organizzazione, ad esempio per foglio, fascicolo, guardie, coperture. I fogli possono essere a loro volta scissi in pagine tenendo conto che gli elementi grafici sono organizzati nelle pagine all’interno di uno specchio di scrittura che lascia dei margini (superiore, inferiore, sinistro, destro), sui quali è possibile trovare elementi grafici eccezionali o numerazione. All’interno dello specchio grafico poi gli elementi sono disposti in linee (separate da interlinee nei quali è possibile trovare elementi grafici eccezionali).

Analizzato il modello fisico si passa poi al modello, contenuto al suo interno, degli strati testuali veri e propri. Teoricamente ogni singolo glifo dovrebbe essere considerato un’unità minima ma, per una questione pratica, questo non accade e si dà la stessa codifica a tutti i glifi che si considerano ispirati allo stesso disegno di grafema. Per descrivere la procedura di codifica da qui in poi mi avvalgo delle parole del già citato Tito Orlandi, autore del libro Informatica Testuale, che afferma che: “ (…) dalla codifica di questo sistema si risale al grafico mentale, costituito dalle unità (grafemi) immaginate per rendere possibile l’espressione delle unità linguistiche per mezzo della scrittura. Il numero e l’ordine dei grafemi nel sistema grafico di uno scriba vengono stabiliti a partire dal sistema glifico del manoscritto per mezzo della competenza dello studioso. Questo è uno dei tanti passaggi soggettivi, e si noti comunque il passaggio dalla considerazione del manoscritto in sé come oggetto a quella dell’intenzionalità dello scriba.

Il sistema grafico permette a sua volta di costruire il modello lessicale dello scriba, passo fondamentale per attivare l’eventuale confronto fra manoscritti. Infatti, si intenderà confrontare la sequenza degli elementi lessicali dei manoscritti, e non la forma dei glifi o l’ortografia (…) o l’organizzazione della pagina ecc. Il riconoscimento del sistema lessicale dello scriba permette di produrre un sorgente che rappresenta il testo intenzionale, quello che lo scriba aveva in mente mentre scriveva, desumendolo dal modello che aveva davanti. Il sorgente è composto dalla sequenza degli elementi lessicali (parole), ciascuno eventualmente rappresentato da un numero, che rimanda a un dizionario (digitale, cosiddetto di macchina) della lingua dello scriba, ed è accompagnato dalla specifica (in questo caso due numeri) della collocazione del testo”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Cristina Rufini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere
  Corso: informazione editoria e giornalismo
  Relatore: Domenico Fiormonte
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 140

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