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Il crollo dell'URSS

Buttino: le elites nazionali alla ''conquista'' dello spazio sovietico

Buttino, nel suo lavoro L’URSS a pezzi inizia a parlare della crisi dell’Unione Sovietica partendo da un’efficace metafora. Il crollo dello Stato sovietico può essere paragonato al crollo di un edificio scolastico: il tetto, che si credeva solido e costruito con materiali di prima qualità, va in frantumi, cogliendo alla sprovvista i compagni che, prima solidali, iniziano a quel punto a badare solo alla propria salvezza, in una sorta di guerra di tutti contro tutti, dove vige inesorabile la legge del più forte. Il prestigio degli insegnanti, che fino a quel momento non avevano fatto altro che esaltare la loro scuola, cala drasticamente e porta ad una loro interna conflittualità. Intanto crescono le fazioni e quelle più forti conquistano la leadership, conquistano la scuola, ricostruiscono il tetto e “riaprono le porte, tenendole però sotto il proprio rigido controllo”.
Per spiegare il crollo del sistema, Buttino parte dunque dal collasso delle istituzioni del Paese (la scuola, nella metafora): il potere centrale (gli insegnanti) perde il controllo sulla società lasciando gli organismi periferici ad agire in modo autonomo. La crisi mette in discussione il ruolo centrale assunto fino a quel momento dal popolo russo e dalla sua cultura; l’indebolimento delle elites del centro porta all’emergere di quelle locali e di frange indipendentiste con forti tendenze al localismo.
Tuttavia, ciò che è avvenuto in URSS nella metà degli anni ‘80, secondo Buttino non è prodotto da potenziali protagonisti che volevano provocare il crollo del sistema, ma tutto avviene in modo sostanzialmente imprevisto, come il crollo di un edificio. I segni premonitori del crollo sono reperibili partendo da lontano, cioè dall’epoca della dittatura stalinista. “La rivoluzione dall’alto”, la violenza fisica e psicologica a cui erano sottoposti i cittadini sovietici, la standardizzazione culturale nel tentativo di “russificare” il Paese cancellando le enormi differenze esistenti al suo interno furono tutti elementi che crearono un’ipoteca sulla durata del sistema. In particolare Buttino riserva un’importanza decisiva al problema delle nazionalità. La politica staliniana delle “nazionalità” mirava alla costruzione di un cittadino sovietico senza distinzioni di nazionalità. La divisione della popolazione sovietica in gruppi nazionali ricalcava la suddivisione amministrativa del territorio: ad ognuna delle suddivisioni amministrative corrispondeva un gruppo nazionale etnico definito in modo più o meno arbitrario. Tuttavia, mentre le ripartizioni amministrative (repubbliche federate e autonome, regioni autonome e distretti nazionali) erano in tutto 53, le etnie censite erano più del doppio.
Ciò significa che metà dei gruppi etnici non disponeva di un territorio proprio. Le migrazioni spontanee erano ostacolate dallo Stato in vari modi, tra i quali vi fu fino al 1976 la proibizione ai contadini di possedere il passaporto necessario per spostarsi. Su tutte queste diverse realtà nazionali, costrette a chiudersi al loro interno, pesava il processo di russificazione messo in moto con forza dallo Stato. Uno degli strumenti più usati da regime a tale scopo fu la scuola: in russo era l’insegnamento rivolto a due terzi degli studenti delle scuole di cultura generale, a tre quarti di quelle delle scuole professionali e tecniche e degli istituti superiori. L’assimilazione linguistica non riguardava solo il settore dell’istruzione, ma investiva l’intera cultura, tanto è vero che le pubblicazioni delle Accademie delle scienze delle varie repubbliche e tutti gli studi di un certo livello dovevano essere obbligatoriamente in russo. Solo chi avesse parlato in modo sciolto e disinvolto il russo avrebbe dunque avuto delle possibilità di promozione sociale. L’aver imposto un’unica lingua ufficiale non significò però essersi assicurati un’uniformità culturale; i risultati della tentata assimilazione possono considerarsi deludenti: le differenze culturali, le differenti aspettative riguardo ai diritti si differenziarono in base alla nazionalità e continuavano a permanere, come dimostra tra le altre cose la scarsa incidenza dei matrimoni misti. Oltre a ciò, con il passare del tempo i tentativi di russificazione diventavano sempre meno giustificabili di fronte ad una crescita demografica che vedeva il popolo russo crescere di meno di un terzo rispetto ad altri gruppi etnici. Infatti, secondo il censimento del 1989 le popolazioni che avevano conosciuto il più alto trend demografico erano state quelle dell’Asia centrale e dell’Azerbaijan, tutte di religione islamica. In base a questo fatto i giovani grazie alle più alte quote d’accesso all’università, diventarono parte integrante della classe dirigente della loro repubblica. Ovviamente i russi detenevano un ruolo di primo piano all’interno degli apparati del potere centrale, ma non riuscivano a controllare il processo decisionale a livello periferico, lasciando pertanto spazio alle elites locali. Fino a che gli interessi dei dirigenti non russi furono legati a quelli generali sovietici, il sistema della dipendenza fu solido. La situazione cambiò con la crisi degli anni ‘80, che produsse un calo dell’espansione economica e mise a rischio la possibilità di affermazione delle élite nazionali all’interno degli apparati dello stato; fu allora che la delusione delle aspettative rese le elites repubblicane sensibili alla causa nazionale. L’irrobustimento dei nazionalismi divenne un evento incontrollabile. Le violenze sui gruppi etnici degli anni ‘30 e le conseguenti emigrazioni furono alla base delle guerre civili avvenute in URSS nel decennio ‘80-’90. Se durante il periodo di Stalin le conflittualità erano soffocate dalla repressione e da strumenti di violenza e intimidazione, la politica di Gorbaciov provocò un crollo verticale nei rapporti fra le diverse nazionalità: a quel punto le tensioni di antica data esplosero in tutta la loro gravità. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il crollo dell'URSS

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Informazioni tesi

  Autore: Rosario Caratozzolo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Francesco Traniello
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 36

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