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L'invidia nelle rappresentazioni artistiche, letterarie e religiose

Polidoro Caldara detto Polidoro da Caravaggio

Un esempio della formula “per invidia” la troviamo con Polidoro che vittima fu dell’invidia.
Il Vasari in “Le Vite de’ piú eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri” ci narra la vita di Polidoro Caldara esordendo con questa premessa: “E’ pur cosa di grandissimo esemplo e di averne timore il vedere la instabilità della fortuna rotare talora di basso in altezza alcuni, che di loro fanno maravigliosi fatti e cose impossibili nelle virtú. Perché risguardando noi i principii loro sí deboli e tanto lontani da quelle professioni che hanno poi esercitate, e poi vedendo con poco studio e con prestezza le opere loro mettersi in luce e tal che non umane paiono, ma celesti, di grandissimo spavento si riempiono alcuni poveri studiosi, i quali, nelle continue fatiche crepando, a perfezzione rare volte conducono l’opere loro. Ma chi può mai sperare da la invidiosa fortuna a chi tocchi pure tanta grazia, che col nome e con l’opere sia condotto già immortale, se, quando piú si speri che i guiderdoni delle fatiche siano remunerati, ella come pentita del bene a te fatto, contra la vita di te congiura e ti dà la morte? E non solo si contenta ch’ella sia ordinaria e comune, ma acerbissima e violenta, faccendo nascer casi sí terribili e sí mostruosi, che la istessa pietà se ne fugge, la virtú s’ingiuria et i benefici ricevuti in ingratitudine si convertono. Per la qual cosa tanto si può lodare la pittura de la ventura nella virtuosa vita di Polidoro, quanto dolersi de la fortuna mutata in cattiva remunerazione nella dolorosa morte/di quello.”
Il Vasari ci racconta che Polidoro giunse a Roma al tempo di Papa Leone X dove lavorò alla costruzione delle logge per Raffaello da Urbino e iniziò a dipingerle con Maturino Fiorentino. Tutta Roma si abbelliva delle loro fatiche quando Borbone, nel 1527, mise a sacco Roma costringendo Maturino e Polidoro a cercare la fuga per vie diverse. Polidoro riparò dapprima a Napoli e, secondo quanto ci riferisce il Vasari, in seguito allo scarso lavoro, si trasferì successivamente a Messina. Qui le sue virtù e qualità erano assai più stimate tant’è che Carlo V al suo arrivo gli commissionò alcuni lavori che portarono a Polidoro onori e fama. Nonostante i numerosi lavori e l’amore per una donna, nel suo cuore ardeva fortemente il desiderio di rivedere Roma. Raccolse così tutti i denari che aveva e si preparò a partire. Purtroppo un garzone del paese, Tonno Calabrese, che lavorava per lui da molto tempo e che amava più il denaro che il maestro, accecato dall’invidia, la notte precedente la partenza per Roma, con alcuni amici strangolò Polidoro e lo derubò. Non soddisfatto gli procurò delle ferite lasciandolo davanti la porta dell’amata con l’intento di far ricadere la colpa sui suoi familiari.
Un conte, amico del maestro morto, sospettando la falsità del garzone riuscì a fargli confessare il delitto per il quale fu condannato alla forca. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'invidia nelle rappresentazioni artistiche, letterarie e religiose

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Informazioni tesi

  Autore: Melania Cabato
  Tipo: Diploma di Laurea
  Anno: 2010-11
  Università: Pontificia Università Salesiana
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Salvatore Capodieci
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 47

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dolore mentale
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