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Le dichiarazioni di terzi nel processo tributario

Il divieto di prova testimoniale oggi

È stato osservato che l'esclusione della prova testimoniale sia deducibile dalla natura prettamente documentale del processo tributario e ciò è stato confermato anche dalle singole leggi d'imposta che hanno escluso la prova per testi e affermato la centralità della prova documentale riguardo a determinati fatti e circostanze. Il processo tributario, oltre a non prevedere il requisito dell’oralità, non sarebbe in grado, nemmeno in virtù di un principio di economia processuale, di sostenere la complessità dell’acquisizione di una simile prova.

A tal proposito la Cassazione ha recentemente confermato che «il divieto relativo all’acquisizione della prova testimoniale nel processo tributario, trova fondamento nell'esigenza di celerità e speditezza del rito». La stessa Cassazione, con sentenza 19 giugno 2009 n. 14328, ha inoltre affermato che «qualora l’interessato voglia contestare la veridicità dell’atto richiamato nel processo verbale di constatazione dovrà necessariamente proporre la querela di falso. Siffatta constatazione non può avvenire mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, in quanto nessuno può costituire titoli di prova a favore di se stesso, e poiché l’efficacia probatoria dell’accennata dichiarazione trova, con specifico riferimento al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione dell’art. 7, comma 4, del D.lgs. n. 546/1992, giacché finirebbe per introdurre nel suddetto processo, eludendo il divieto di giuramento e di prova testimoniale, un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito fuori dal processo».

Va tuttavia precisato che le "informazioni scritte" che è possibile farsi rilasciare da soggetti terzi in virtù dei poteri d'indagine conferiti alle Commissioni tributarie ex art. 7, comma 1, del D.lgs. n. 546/1992, sono differenti dalla testimonianza. Difatti, come confermato dalla dottrina, le deposizioni trascritte nei processi verbali redatti nell'attività ispettiva dagli uffici tributari o dalla Guardia di Finanza, nonché, le dichiarazioni di terzi introdotte in sede processuale mediante la produzione del documento che la racchiude, sono ammissibili a tutti gli effetti ai fini della definizione della controversia. La Suprema Corte si è premurata di ricondurre le dichiarazioni di terzi all'alveo di «elementi indiziari»; il valore di tali elementi indiziari potrà essere contestato dal contribuente con mezzi alternativi o con dichiarazioni contrarie, sarà affidato alle Commissioni tributarie il compito di valutare con prudente apprezzamento l'attendibilità delle stesse.

In virtù di queste considerazioni, dobbiamo dunque tracciare una distinzione importante, ai fini dell'attività istruttoria condotta nel processo tributario, fra «informazioni testimoniali», da una parte, e «prova testimoniale» dall’altra. Le prime vengono desunte da dichiarazioni precostituite e sono dichiarazioni di scienza provenienti da terzi utilizzabili ai fini della definizione del giudizio, seppur con i limiti fissati dalla Suprema Corte; esse possono consistere anche in informazioni che l'Amministrazione finanziaria dello Stato ha la facoltà di chiedere ai privati in virtù degli artt. 32 D.P.R. 600/1973 e 51 D.P.R. 633/1972. La prova testimoniale vera e propria, invece, non può essere ammessa in nessun caso proprio in virtù del divieto espresso sancito dall'art. 7, comma 4, del D.lgs. n. 546/1992. Secondo parte della dottrina, però, il divieto di prova testimoniale dipende esclusivamente da ragioni di natura contingente e non perché sussiste un'incompatibilità oggettiva tra controversie tributarie e prova testimoniale. È assurdo pensare che se la controparte non s'identifichi con il Fisco, solo per questa ragione, questi debba essere considerato inaffidabile, dal momento che l'affidabilità di una prova testimoniale va comunque giudicata dal libero apprezzamento del giudice, senza alcun vincolo di prova legale.

Buona parte della dottrina obietta che l'unica ragione che conduce al divieto di prova testimoniale sia la ricerca di un processo spedito e sommario che però va a mortificare i principi costituzionalmente garantiti di oralità, del contraddittorio e della formazione giudiziale della prova. Il divieto di prova testimoniale rischia quindi di andare a violare il principio di "parità delle armi" nel processo, dal momento che va ad avvantaggiare in modo sproporzionale gli uffici fiscali, i quali hanno la possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi direttamente nei processi verbali per poi utilizzarle in sede processuale, andando ad aggirare, secondo l'opinione di molti, il quarto comma dell'art. 7 del citato decreto, possibilità che invece viene negata al contribuente e allo stesso giudice.

Neanche l’esame delle dichiarazioni di terzi da parte del giudice serve a ripristinare il principio di parità processuale delle parti, atteso che al giudice non viene data la possibilità di chiedere riscontri diretti al dichiarante o di valutare la credibilità deducendola dal complessivo atteggiamento. Si è obiettato inoltre che tali dichiarazioni quando vengono fornite durante particolari procedure, quali per esempio gli accertamenti da parte della Guardia di Finanza, possono portare all'alterazione del contenuto della dichiarazione nel caso in cui vengano esercitate pressioni da parte dei verbalizzanti ed è per questo motivo che è stato richiesto l'intervento di un riesame giudiziale di tali dichiarazioni. Date le concordanti opinioni presenti in materia appare difficile trovare una soluzione che soddisfi tutti e che allo stesso tempo vada a salvaguardare il divieto di prova testimoniale nonché la valenza probatoria delle dichiarazioni raccolte a verbale dagli uffici finanziari. La tesi «garantista» prevede che il divieto di prova testimoniale nel processo tributario renda pregiudizialmente inutilizzabile qualsiasi dichiarazione di terzi raccolta a verbale oppure imponga di confermarla con prove di altra natura: essa andrebbe a vanificare tutti i poteri istruttori degli uffici tributari che si limiterebbero alle sole dichiarazioni di terzi raccolte a verbale.

Un compromesso razionale potrebbe apparire l’interpretazione restrittiva del divieto di prova testimoniale, ammettendo nel processo tributario anche le dichiarazioni scritte di terzi prodotte dal contribuente a proprio favore. In realtà la Corte Costituzionale, pur pronunciandosi favorevolmente nei confronti del quarto comma dell'art. 7 del D.lgs. n. 546/1992, ritenendo legittimo il divieto imposto, ha omesso di indicare una soluzione soddisfacente a questa diatriba che va animando da anni il campo del diritto processuale tributario. Secondo gran parte della dottrina, il divieto di prova testimoniale dovrebbe essere mitigato, magari ricercando un compromesso con l'esigenza di speditezza del processo, d'altro canto, si dimentica forse che la valutazione della prova testimoniale e la susseguente ammissione è ordinariamente rimessa alla discrezionalità del giudice, il quale, nel processo tributario, terrebbe sicuramente conto di tale esigenza.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le dichiarazioni di terzi nel processo tributario

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Informazioni tesi

  Autore: Carla Romano
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Palermo
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Salvatore Sammartino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 181

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