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Il sistema previdenziale italiano nel 2013 dopo il decreto legge n. 201, del 6 Dicembre 2011 (convertito in legge 214/2011)

Considerazioni sull'attuale sistema previdenziale (post-riforma 2011)

La situazione attuale e prospettica stimata dagli Osservatori economici nazionali evidenzia che gli interventi adottati con l'ultima riforma previdenziale hanno soddisfatto gli obiettivi prefissati e che le modifiche apportate hanno consentito di rendere il sistema previdenziale italiano sostenibile sul piano economico nel lungo periodo senza aggravio di spesa pubblica (vero "driver" di intervento per i governi UE). Di contro le pesanti modifiche introdotte hanno dato avvio anche a dinamiche sociali ed economiche da valutare con attenzione. L'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni dal 2018 e, progressivamente fino a 70, ha permesso di allineare l'Italia all'età di pensionamento europeo (oggi l'età tra le più elevata), modificando in questo modo un sistema per anni molto favorevole, con pensionati di età particolarmente basse (anche sotto i cinquant'anni). Ritardare l'età della pensione di molti italiani ha consentito di ridurre, nei prossimi anni, le uscite previdenziali correnti (o meglio le ha spostate nel tempo) e dall'altro si è garantito flussi di contributi dai soggetti a fine carriera e quindi calcolati su redditi più alti. Tuttavia, l'uscita ritardata dal lavoro implica, in termini di occupazione, il fatto di non "liberare" posti per chi nel mondo del lavoro deve entrare o per chi deve crescere professionalmente e ciò renderà il Paese, tra pochi anni, costituito da una popolazione molto anziana, quindi, poco innovativa che non ha più un'elevata propensione all'investimento in attività e in nuove imprese. Tutto ciò andrà a discapito dell'occupazione dei giovani, di non poter disporre di un reddito prima dei 25 anni e della possibilità di costruirsi una pensione integrativa su un arco temporale lungo. E' poco probabile che un 63-65 enne decida a quell'età, dopo 40 anni di lavoro, di dare avvio ad nuova impresa che generi nuovi posti di lavoro. Non solo, pensiamo ad un altro fenomeno collegato all'allungamento dell'età pensionabile.
Se un 63 enne deciderà di restare al lavoro per far cresce la sua pensione, deve tenere conto anche della recente riforma del lavoro (modifica dell'art. 18). Essa consente al datore di lavoro di licenziarlo per giustificato motivo oggettivo (Es: crisi aziendale) offrendogli un indennizzo economico, pari a circa un anno di stipendio, a titolo di incentivo all'esodo (senza obbligo di reintegro) vanificando così il suo obiettivo previdenziale (da ciò si apre il tema dell'aumento, molto probabile, dei cosiddetti esodati e degli ammortizzatori sociali). Sono abbastanza certo che a 63 anni è molto, molto difficile trovare un altro posto di lavoro e poter così migliorare, lavorando per altri 6-7 anni, l'importo della propria pensione pubblica. Se si ipotizza che una persona di quest'età accetti un lavoro lontano dalla zona di residenza, magari in un'altra regione, credo ci sia un'anomalia di fondo. Pertanto ai soggetti di età 50-65 anni di oggi, ai quali mancano da 1 a 20 anni circa prima del diritto alla pensione, non resta che "sperare" che alle imprese per cui lavorano vada sempre tutto bene fino al giorno prima di andare in pensione. Lo stesso vale per un lavoratore autonomo che sarà "costretto" a lavorare fino a 70 anni e più, a rischiare quindi in proprio fino a quell'età (Esempio: un artigiano piastrellista, un agente di commercio internazionale, un trasportatore, ecc.) e affrontare il mondo che cambia velocemente (concorrenza e tecnologie), per ottenere una pensione pubblica molto bassa; probabilmente non sufficiente per vivere. Secondo l'attuale impostazione la pensione da lavoro sarà sempre di più, in futuro, dipendente da variabili "aleatorie" sulle quali l'individuo non potrà fare nulla se non "aspettare". Non si favoriscono, per ora, nuovi posti di lavoro ed i giovani sono già oggi costretti ad iniziare a lavorare tardi e ad ottenere un'occupazione stabile intorno ai 30 anni. Essi, per poter costruire una pensione vicina al 55%-60% del loro ultimo reddito (tasso di sostituzione atteso), dovranno lavorare per 45-50 anni (almeno fino a 75) e godersi la "quarta età" per circa 14 anni; che rappresenta la speranza di vita media di un 70 enne maschio (tra 20 anni sarà di 16 o 17 ma nel frattempo si sarà alzata l'età di pensionamento). In questo scenario è doveroso trovare idee nuove per rendere il sistema previdenziale più equo a favore di chi non è ancora vicino alla pensione. Ad oggi, quello che emerge, è che si dovrà lavorare per 50 anni e godersi, forse in buona salute, da pensionato gli ultimi 13-15 anni.
Lo Stato deve certamente sistemare vecchi problemi di un sistema previdenziale troppo generoso ma non può far gravare le soluzioni solo su chi non ha contribuito a generare questo sistema.
Si caricano le nuove generazioni per mantenere in essere i livelli attuali di pensione: oneri che esse non possono sostenere. Si tratta di soggetti che, al contrario, dovrebbero "poter scegliere" come gestire la propria fase di quiescenza: sicuramente peggiorativa rispetto ai loro genitori-nonni.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il sistema previdenziale italiano nel 2013 dopo il decreto legge n. 201, del 6 Dicembre 2011 (convertito in legge 214/2011)

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Morosi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università Telematica "E-Campus"
  Facoltà: Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative
  Corso: Economia bancaria
  Relatore: Francesco Vallacqua
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 127

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Parole chiave

previdenza complementare
patto intergenerazionale
tasso di sostituzione
tre pilastri
riforma fornero
sistema previdenziale italiano
pensioni integrativa

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