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Interpretare la schiavitù: quattro penne di scrittrici anglofone a confronto

Lo schiavismo anglosassone: colonialismo

La nascita del colonialismo anglosassone può essere fatta risalire a Enrico VII che regnò dal 1485 al 1509. Il monarca, infatti, durante la sua reggenza, sviluppò il commercio oltremare e il sistema marittimo inglese attraverso la costruzione di nuove navi capaci di raggiungere mete sempre più lontane. Una buona marina mercantile fu la conditio sine qua non perché la corona britannica cominciasse l'era delle colonie d'oltremare e potesse dare il via a quello che sarà ricordato nei libri di storia come il periodo dell'imperialismo inglese. Grazie a Enrico VII, che incoraggiò le imprese per mare, Giovanni e Sebastiano Caboto esplorarono nel 1497, le coste del Labrador, di Terranova e della Nuova Scozia.
All'epoca, nonostante la buona volontà del monarca anglosassone, la marina inglese non era ancora paragonabile alla flotta spagnola ma certamente l'obiettivo era quello di superare l'Invincibile Armada, cosa che avvenne nel 1588 sotto Enrico VIII il quale fortificò il potere marittimo inglese e costruì la moderna marina inglese, triplicando il numero di navi da guerra e costruendo il primo grande vascello con cannoni pesanti a lungo raggio; oltre a ciò costruì nuovi porti e un sistema di fari che avrebbe facilitato la navigazione delle coste. Con la sconfitta dell'Invincibile Armada la flotta Inglese divenne, a tutti gli effetti, la regina dei mari. Giunti in America, dove furono fondate le 13 colonie Nord Americane, l'Inghilterra si accaparrò anche le province atlantiche del Canada, arrivando a colonizzare alcune piccole isole dei Caraibi come Giamaica e Barbados. In queste isole, dove furono impiantate colonie di zucchero, la base dell'economia divenne schiavista; ma le colonie americane non producevano solo zucchero; in quelle del sud, in particolare, si diffusero la coltivazione del tabacco, del cotone e del riso, in quelle del nord la produzione di materiale destinato alla costruzione delle navi e alla produzione di pellicce. Ben presto la colonizzazione anglosassone nei territori immensi e vergini del Nord America si espanse a macchia d'olio.
Il primo insediamento coloniale inglese d'oltremare è datato 1607, a Jamestown in Virginia. Nel periodo che andò dal 1607 al 1783 il Regno Unito estese il proprio dominio in quella che sarà ricordata come la prima fase del colonialismo inglese, nei territori della Nuova Scozia, a Terranova, la Terra di Rupert, le Bahamas, la Giamaica, il Belize e parte delle Piccole Antille. Olandesi e Francesi, che erano approdati anch'essi sul suolo americano, furono inesorabilmente cacciati dagl'inglesi che si impossessarono anche dell'Australia (1788) e della Nuova Zelanda (1840). Tutti questi territori, naturalmente, erano abitati dai nativi del posto e diventarono, dopo la conquista britannica, terre di immigrazione per gli inglesi. Questo è il motivo per cui la storia dello schiavismo anglosassone è anche la storia del colonialismo del Regno Unito. Nel corso dell'epoca coloniale, caratterizzata da una politica occupazionale e di espansione iniziata dopo la scoperta dell'America, i territori occupati divennero parte integrante della Corona britannica che vi esportò il proprio modello di controllo politico ed economico assieme al proprio sistema culturale, spazzando via tutto ciò che percepiva come alieno. In questa fase le terre venivano sfruttate a pieno regime e le popolazioni conquistate diventavano forza lavoro coatta. Molto spesso tuttavia queste forme di schiavitù legittimate erano giustificate da motivazioni di stampo idealistico, in quanto i colonizzatori si ritenevano portatori di valori etici ed esempi di una cultura superiore.
Le tredici colonie che gli inglesi fondarono in Nord America erano estremamente eterogenee tra loro sia per clima che per tipologia del territorio. Se in Virginia e nel Maryland, dunque nel Sud, intorno al 1700 erano state impiantate ampie coltivazioni di tabacco (che si rivelarono estremamente redditizie), nel New England, dunque al Nord, inizialmente l'attività principale era soprattutto la pesca da esportazione, e la costruzione di prodotti navali come legname, catrame, resina, canapa, in seguito, però, si sviluppò anche l'industria cantieristica che raggiunse livelli tale da rifornire per il 40% la flotta britannica. In genere, comunque, la popolazione delle colonie viveva di agricoltura; mentre le campagne del Nord si popolarono di piccoli proprietari, di solito dediti alla coltivazioni di cereali, nel Sud si diffusero le piantagioni che producevano riso, indaco, tabacco o cotone che venivano poi esportati. Fu soprattutto nel Sud, dunque, che il bisogno di manodopera, e la sua scarsità, divenne da subito un problema.
Sebbene, quando si pensi alla schiavitù e all'America, vengano in mente soprattutto le immagini dei nativi americani e degli africani deportati dal loro continente, il Governo anglosassone non si limitò a schiavizzare gli afroamericani ma anche i bianchi. Inizialmente, infatti, la penuria di manodopera nelle nuove colonie fu risolta con la deportazione dei condannati che, all'epoca, erano numerosissimi in virtù del fatto che, nel XVIII secolo, i codici penali britannici erano estremamente severi e arrivavano a prevedere la pena capitale anche per reati minori. Fino al 1713, anno in cui terminarono le guerre contro la Francia, ai criminali inglesi, condannati a morte, fu offerta l'opportunità di scegliere tra la vita e la possibilità di arruolarsi nell'esercito ma poi, dal 1717, il Parlamento inglese approvò un atto che concedeva la grazia a chi avesse accettato di essere deportato nelle colonie oltreoceano e qui avesse scontato un periodo di lavoro forzato. Fu così che tra il 1720 e il 1775 furono trasferiti in America circa 30.000 criminali, la maggior parte dei quali furono destinati nel Sud, negli stati della Virginia e del Maryland.

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Informazioni tesi

  Autore: Vanessa Meriggi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue e Letterature Straniere
  Relatore: Elisabetta Marino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 143

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