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Biglietto di sola andata: il brain drain

Il fenomeno del “degiovanimento”

Come appena detto esistono varie visioni sugli effetti del brain drain. Generalmente gli effetti scaturiti dal fenomeno sono maggiormente negativi, soprattutto per quanto riguarda il futuro dei giovani studenti e lavoratori. I giovani sono i più disposti a trasferirsi per perfezionare il proprio grado d’istruzione, acquisire nuove competenze, così da poter facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro. A tale proposito, le nuove generazioni sono costrette a subire gli effetti prodotti dalle generazioni precedenti e che variano in base alle istituzioni e culture dei vari paesi.

Le grandi trasformazioni della globalizzazione e dell’invecchiamento hanno introdotto nuove sfide, influendo sui processi di rinnovo e adattamento per i diversi paesi. I nuovi rischi scaturiti dalle trasformazioni possono essere riconducibili agli ostacoli relativi all’entrata nel mercato del lavoro, ad una sua conseguente stabilizzazione al suo interno. Ciò è maggiormente ampliato in quelle nazioni caratterizzate da welfare pubblico debole, che incontrano difficoltà a risanare gli esiti negativi, così da generare situazioni di incertezza e insicurezza nel futuro. Gli effetti negativi hanno ripercussioni sia micro, in quanto viene scoraggiata la realizzazione dei propri obiettivi di vita, che macro, in quanto viene smentita e annullata l’idea che i giovani siano una risorsa importante per lo sviluppo e la crescita di un paese. Proprio per questo la Commissione Europea, attraverso la Strategia di Lisbona, ha invitato gli Stati membri a considerare come elemento fondamentale per lo sviluppo sociale ed economico la promozione di una piena partecipazione dei giovani nel mondo del lavoro e nella società (vedi cap. 3).

Questa condizione di svantaggio dei giovani rispetto alle generazioni precedenti risulta molto marcata in Italia rispetto agli altri paesi sviluppati. Il welfare italiano è risultato, in parte, incapace di rispondere alle esigenze delle trasformazioni (globalizzazione, sviluppo tecnologico, invecchiamento della popolazione…), lasciando esposti i giovani italiani alle nuove sfide con scarsità di strumenti. Le nuove generazioni risultano penalizzate su vari aspetti: hanno un peso meno rilevante dal punto di vista demografico, i livelli di istruzione e i tassi di occupazione sono più bassi, hanno minori strumenti di protezione sociale, poco considerati nel campo politico, delle professioni e universitario a causa dei sistemi rigidi di ricambio che caratterizzano il nostro paese.

In più, ad appesantire la situazione, vi è la presenza della spesa per interessi destinata all’estinzione del debito pubblico, che si aggira intorno al 2-3% del Pil annuale, una percentuale rilevante se destinata al risparmio, alla modernizzazione del paese o alle spese sociali per riequilibrare le condizioni di svantaggio dei giovani. I giovani rappresentano da sempre una delle categorie più sensibili alle condizioni nel mercato del lavoro. Nel 2011, in Italia, il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 29,1 per cento, in aumento di 1,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Si tratta del valore più alto dell’ultimo decennio. Nel 2002, infatti, il tasso di disoccupazione giovanile si attestava al 22,0 per cento. Per quanto riguarda l’Unione Europea, nel 2011, il tasso di disoccupazione giovanile minimo si aggira intorno al 7,6% dei Paesi Bassi con un picco massimo del 46,4% della Spagna. Grecia, Portogallo, Slovacchia e le Repubbliche Baltiche, con l’esclusione dell’Estonia, sono i paesi i cui valori superano il 30%. La situazione italiana è allarmante arrivando a toccare circa il 40%.

I quesiti e le problematiche sopra citate, rientrano nel concetto del “degiovanimento”, neologismo utilizzato in contrapposizione con “ringiovanimento” e in analogia con “denatalità”. Ciò indica una perdita consistente delle nuove generazioni, ci sono sempre più “vecchi” e sempre meno giovani. Alessandro Rosina e Paolo Balduzzi nella loro pubblicazione “I giovani italiani nel quadro europeo: la sfida del “degiovanimento”, mostrano alcune statistiche sull’evoluzione demografica europea: in Europa la percentuale degli under 25 è diminuita al di sotto del 30%, un dato fino ad ora mai visto, e in Italia la percentuale si aggira intorno al 25%. In Italia, il rischio è quello di alimentare al degiovanimento sociale, ovvero di una scarsa rilevanza nella vita economica e politica del paese. Per compensare le conseguenze negative che il fenomeno produce il governo italiano dovrebbe valorizzare e investire sui “pochi” giovani, così da poter incrementare la qualità di essi, attraverso processi meritocratici per consentire il raggiungimento dei propri obiettivi. La teoria economica afferma che “più un bene è raro sul mercato, più risulta apprezzato e ricercato”. Purtroppo, ciò che viene evidenziato dalla teoria rispetto all’attuale realtà italiana, è una inevitabile contraddizione. Siamo in presenza di un paradosso: “pochi giovani, ma anche meno aiutati e incentivati ad essere attivi e partecipativi”. In conclusione, si è dimostrato che è necessario fare una distinzione tra mobilità internazionale e fuga dei cervelli, in quanto la prima deriva dalla competizione per eccellenza scientifica, mentre la seconda è scaturita dall’assenza di risorse e opportunità.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Biglietto di sola andata: il brain drain

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Merendelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia del turismo
  Relatore: Maria  Guerra
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 54

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Parole chiave

fuga dei cervelli
brain drain
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