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La politica estera americana verso il conflitto arabo-israelo-palestinese

Che cos’è e come agisce la Israel Lobby

L’espressione «Israel Lobby» viene utilizzata per definire un gruppo di individui e organizzazioni che si impegnano attivamente per orientare la politica estera americana in favore dello Stato ebraico. Se non fosse per gli sforzi della lobby, tutti gli argomenti analizzati nel paragrafo precedente sarebbero messi in discussione. La lobby non è un organismo unitario e succede, quindi, che su specifiche questioni politiche i diversi gruppi e individui che ne fanno parte a volte siano in disaccordo. Tuttavia, questi gruppi non svolgono una precisa azione di lobbying: non tentano quindi di influenzare direttamente i rappresentanti politici. Sarebbe più giusto quindi utilizzare l’espressione «comunità filoisraeliana» o «movimento per il sostegno a Israele». La lobby non è un’organizzazione centralizzata e gerarchica, non vi sono tessere di appartenenza. Non tutti gli Americani e le figure istituzionali che simpatizzano per Israele fanno necessariamente parte della lobby.
La «comunità ebraica americana» non deve però essere identificata con la lobby. Infatti, circa un terzo degli ebrei-americani non ritiene che la questione israeliana sia particolarmente importante e non appoggiano le politiche sostenute dalla lobby. Inoltre, molti individui e gruppi appartenenti alla lobby non sono necessariamente ebrei, ma appartengono alla comunità sionista cristiana. Ciò che identifica la lobby è quindi il suo programma politico e non l’appartenenza religiosa.
L’organizzazione più importante e più nota appartenente alla lobby è l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee). Vi sono poi tra le più importanti l’American Jewish Congress, la ZOA (Zionist Organization of America), l’Israel Policy Forum e molte altre.
Durante i primi anni del sionismo, e fino alla guerra del 1967, l’attività della lobby si svolgeva dietro le quinte e si basava su contatti privati tra personalità influenti del governo. Le vittorie nelle guerre del 1967 e del 1973 fortificarono lo Stato ebraico, rafforzando l’orgoglio per la sua abilità militare, ma allo stesso tempo fecero crescere il timore per la sua sicurezza. È in questo periodo che la lobby cominciò a rafforzare le proprie tesi con argomentazioni morali e strategiche, in modo che gli Stati Uniti potessero giustificare e difendere il costo del sostegno a Israele.
Le divergenze interne alla lobby sulle questioni politiche hanno causato delle spaccature nelle diverse organizzazioni, che non hanno però compromesso il costante appoggio allo Stato ebraico da parte del governo americano. Un’eccezione è rappresentata dall’associazione Jewish Voice for Peace, che durante l’occupazione di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, esortò gli Stati Uniti a sospendere gli aiuti militari fino alla fine dell’occupazione. Nonostante i contrasti tra il governo israeliano e alcuni gruppi della comunità ebraica americana, vige il principio secondo il quale sulle questioni della sicurezza non devono essere rivolte critiche contro Israele.
Tradizionalmente gli ebrei americani sono in linea di massima sostenitori delle cause liberali e del Partito democratico, e la maggior parte sono favorevoli alla «soluzione a due stati». Negli anni, però, alcuni dei gruppi appartenenti alla lobby sono diventati sempre più conservatori. La guerra dei Sei giorni fece emergere il gruppo dei «nuovi ebrei», composto prevalentemente da esponenti di circoli sionisti, ortodossi e neoconservatori. Lo spostamento a destra è dato anche dal potere sempre maggiore acquisito da un piccolo gruppo di ricchi conservatori ai vertici dell’AIPAC. L’appartenenza al consiglio di amministrazione dell’AIPAC è basata sul contributo finanziario di ogni consigliere e non dalla reale capacità di rappresentare l’organizzazione. I più grandi finanziatori di queste organizzazioni sono, spesso, i più ferventi sostenitori della causa israeliana. La presenza all’interno della lobby di gruppi di sionisti cristiani rafforza il suo potere, perché fa apparire il sostegno a Israele qualcosa di più di una semplice richiesta della comunità ebraica americana.
È doveroso specificare, che all’interno della comunità ebraica americana, vi sono diversi gruppi che hanno mosso delle critiche alla politica dello Stato ebraico. Queste organizzazioni non hanno, però, le risorse e l’influenza di grandi gruppi, come l’AIPAC o la ZOA, e non riescono quindi a fare sentire la propria voce.
Le ragioni del potere della lobby risiedono nella struttura del sistema politico americano, che prevede un’ampia libertà di parola e un sistema elettorale estremamente costoso e scarsamente regolamentato. Ogni gruppo di interesse può quindi accedere alla politica e influenzarla, attraverso contributi elettorali. Inoltre, essi possono facilmente influenzare l’opinione pubblica, attraverso la stampa: coltivando le amicizie con i giornalisti, scrivendo libri, commenti e articoli per avvalorare le proprie tesi o per screditare chi ha opinioni diverse. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La politica estera americana verso il conflitto arabo-israelo-palestinese

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Informazioni tesi

  Autore: Maria Paola Pisanu
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Studi Orientali
  Corso: Lingue e culture moderne
  Relatore: Angelo Arioli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 86

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