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Le organizzazioni criminali e le sottoculture giovanili

L’arruolamento dei minori

Il reclutamento dei minori da parte della camorra è oggi un fenomeno molto preoccupante, in quanto, come mostra la cronaca più recente, è tuttora in ascesa.
Nelle città la camorra si concentra in alcuni quartieri, dove la delinquenza diventa un aspetto tradizionale della vita sociale, trasmessa attraverso contatti personali e di gruppo.
Francesco Giacca, sociologo e educatore presso l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Napoli, afferma che l’adolescente acquisisce la cultura della devianza all’interno del gruppo. L’apprendimento non interessa solo le tecniche o le informazioni per svolgere le attività delinquenziali, ma soprattutto il “sentire camorristico”, che garantisce sopravvivenza, coesione e l’accomunamento nei membri di una subcultura. Lo stesso Giacca, inoltre, mette in evidenza l’esistenza sul territorio napoletano di due configurazioni. La prima, che egli definisce “criminale” è caratterizzata dal dominio, in interi quartieri, di boss della camorra, che non solo controllano il territorio, ma hanno legami con i tradizionali gruppi di potere, quali partiti, imprenditori, organi di governo. In questa condizione il minore è orientato verso la cultura della devianza per la presenza di modelli riusciti in tal senso ed il suo apprendistato alla “professione” è disciplinato da codici di azione, di comportamento e prove di fedeltà. La seconda configurazione è da lui definita “conflittuale” ed è tipica del potere criminale frantumato, con clan in lotta tra loro. In questo caso l’adolescente è socializzato verso un modello di devianza caratterizzato dall’ostentazione della violenza.
Giacca, ancora, fa notare che alcuni esperti del settore raggruppano i minori radicati nell’area delle organizzazioni criminali in tre gruppi:
- Il primo gruppo è costituito dai figli dei camorristi, che, dunque, sono uniti alla malavita per vincolo di sangue. Questi ragazzi difficilmente vanno in contro alla pena detentiva, poiché la stessa famiglia li protegge da rischi troppo elevati. Su di loro sembra impossibile concepire interventi educativi efficaci;
- Il secondo gruppo è formato da giovani che non appartengono a una famiglia camorristica, ma s’identificano con il clan nel quale sono inseriti, ne condividono gli obiettivi e dunque gli sono legati per vincolo di appartenenza.
Questi soggetti tendono ad assumere comportamenti da leader, assoggettando i pari; le loro famiglie sono poco collaborative con i Servizi Sociali, poiché vivono i loro interventi come delle intrusioni;
- Il terzo gruppo, infine, è caratterizzato da minori che non appartengono al clan, né s’identificano in esso, ma operano nell’illegalità, rispettando le regole imposte dal cartello camorrista vigente in quel territorio. Sono dunque legati alla famiglia per prevalente vincolo d’interesse, ma trovano nel clan anche un vero e proprio riferimento valoriale, poiché in cerca di un’identità, che la società non è in grado di riconoscere loro. Sono stati rifiutati dalla scuola come personalità negative e questo etichettamento decreta, nella maggior parte dei casi, il loro ingresso nella criminalità organizzata. I ragazzi di questo gruppo sembrano sottoponibili a programmi d’intervento educativo.
I minori e gli adolescenti quivi descritti, fatta eccezione di quelli appartenenti al primo gruppo, considerano i camorristi come un modello da imitare, poiché hanno un elevato tenore di vita, rispetto e prestigio. La figura del camorrista, come capo carismatico è, così, fortemente mitizzata e ciò, sul piano teorico, ci riporta al concetto di carisma elaborato da Max Weber e ripreso successivamente da Ferrarotti. Il carisma è una qualità intrinseca dell’individuo, in questo caso il camorrista, che permette al soggetto di essere seguito ed ascoltato dal resto della “massa indifferenziata”. Ferrarotti, in particolare, afferma che il carisma ha la funzione di legittimare il potere esercitato dal leader- camorrista sui seguaci, che hanno dei doveri nei suoi confronti; inoltre non c’è richiesta di consenso, ma l’imposizione di un arbitrio.
Ciò che esercita un notevole fascino è anche l’universo simbolico che caratterizza il camorrista: i tatuaggi sono una notevole fonte di attrattiva ed un “segno indelebile” dell’appartenenza all’area illecita della società. I “cinque punti”, il Volto Santo, il nome della propria madre, sono solo alcuni dei tatuaggi riconducibili all’appartenenza alla camorra, che sebbene siano nati nelle carceri dell’800, ancora oggi sono molto diffusi in questa parte della popolazione. Gli adolescenti parlano di questi simboli quasi come fossero motivo di orgoglio ed alcuni di essi, soprattutto quelli definiti “a rischio” rispolverano vecchie pratiche di tautologia, praticando essi stessi, con ago ed inchiostro, questi tatuaggi, che rappresentano per loro ciò che li differenzia dai pari e che dà loro una precisa “collocazione” ideologica. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le organizzazioni criminali e le sottoculture giovanili

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Informazioni tesi

  Autore: Laura Loffredo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Massimo Corsale
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 110

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Parole chiave

criminalità organizzata
camorra
sottoculture giovanili
baby-gang

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