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I Lupanari a Roma nella Prima Età Imperiale

Tra i muri: il piacere

Quando le attività lavorative erano chiuse, quando il sole accompagnava l’ultimo respiro della calda aria del giorno, nello stesso momento in cui una dolce brezza si impadroniva della mente umana e la induceva a rilassarsi, a chiudere gli occhi e a sognare, qui risiede il nascere delle fantasie proibite, della voglia di libertà, di infrangere le norme sociali, di trasgredire, di soddisfare i propri vizi segreti.
In luoghi dove si racchiudeva la pura essenza del piacere, dove donne discinte e ragazzi dalla dubbia moralità custodiscono i reconditi consigli della passione.
I romani ritenevano che sfogare i propri istinti nei bordelli (maschili e femminili) fosse cosa giusta e salutare. Si soddisfacevano dell’amore a pagamento, appagavano il loro fuoco, così da evitare di essere insidiosi per le ragazze ancora in possesso della loro primavera e per le matrone oneste. Fin dall’età repubblicana erano approvati i rapporti sessuali sotto retribuzione più o meno sostanziosa , e Marco Tullio Cicerone lo propugnava a gran voce in una sua nota difesa “…verum si quis est qui etiam meretriciis amoribus interdictum iuventuti putet, est ille quidam valde severus – negare non possum- sed abhorret non modo ab huius speculi licentia verum etiam a maiorum consuetudine atque concessis”.
La parola lupanar è un termine latino che deriva da lupa, cioè la femmina del lupo, che già di per sé indica una peculiarità avida, collerica, viscida ed infima. Questo termine fa risalire la sua etimologia alle primavere di Roma arcaica, e più con esattezza alla leggenda della fondazione: la lupa che allattò i gemelli di Rea Silvia, doppio simbolo di sete di potere dello stato romano e simbolo di prostituta. Acca Larenzia.
Denota Roma in una veste di dissolutezze e libidini. Lupa indica quindi la prostituta, colei che esercita il suo lavoro in un locale adibito al commercium habere, e si dice che esse attirassero i clienti dalle loro baracche maleodoranti con una sorta di ululato. Questo proverrebbe da un’antica tradizione patriarcale con una festività dedicata alla Dea Lupa, le cui sacerdotesse indossavano pelli di lupa e ululavano alla luna nei riti; sacerdotesse che, come in altre civiltà indoeuropee ed in particolare quelle del vicino oriente, praticavano la prostituzione sacra e il cui tempio era il lupanare ; nome che poi andò a indicare il postribolo.
Nell’antica Roma abbiamo molti termini per indicare le meretrici: Terenzio ci riporta meretrix, peregrina et scortum. La più gettonata dall’autore è il primo termine, con connotazione economica ovvero la capacità di voler dei lauti guadagni. Anche Elio Donato concorda con Terenzio circa questa caratteristica: la sua meretrix Criside sceglie la via della prostituzione per una sete di denaro. Per quello che concerne peregrina, il vocabolo viene da peregrinor (errare = vivere fuori dalla propria terra), e indica un concetto di movimento, di spostamento e di estraneità dal luogo in cui si risiede. Questa era la comune condizione delle normali prostitute romane, importate dall’estero come merce esotica, ed affiancati dei nomi di battaglia quanto mai esotici. Quanto riguarda scortum è il termine ad hoc per indicare le volgari battone che si offrivano per strada p nei lupanari. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

I Lupanari a Roma nella Prima Età Imperiale

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Informazioni tesi

  Autore: Carlo Federico Carpentino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Lettere
  Corso: Scienze storiche e archeologiche dell'antichità
  Relatore: Daniele Foraboschi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 95

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