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''Andare avanti, tornare indietro, fermarsi, perdersi.'' La memoria 'inventiva' nella scrittura di Igiaba Scego

Scelte espressive

Lingue e registri stilistici eterogenei si mescolano e s’intrecciano dando vita a quell’impurità narrativa che si configura come la cifra costitutiva del romanzo attraverso cui i tratti delle realtà descritte vengono, spesso, forzati, dilatati e amplificati. Tra gli elementi che si segnalano spicca il livello espressivo crudo, forte, attuale, talvolta volutamente vicino al gergo giovanile romanesco che si avvale anche di echi musicali, televisivi, e che convive nello stesso tempo con un lessico alto, diversificato per ogni personaggio.
L’arabo, lo spagnolo, il somalo, il gergo romanesco, “e l’inglese, il francese, il portoghese citati dai libri, dai film e dalle canzoni, si impastano dentro un italiano ibridato, contaminato, sporcato in mille maniere”. L’abilità della scrittrice consiste nel saper gestire toni, registri, generi e livelli espressivi diversi: “da quello tipico dei giovani romani ad uno disteso ed evocativo, più congeniale a storie degli anni ’60 e degli anni ’70. Lo stile rende evidente il salto generazionale tra le figlie e le madri così tra queste e le proprie famiglie di origine” sottolinea Riccardo Colombo nella sua recensione.
E’ interessante notare come Igiaba Scego affidi a Zuhra nell’epilogo, la riflessione su una nozione di identità, che sentita come impura, meticcia, plurima si riflette conseguenzialmente anche sulla dimensione della lingua. Emerge come la protagonista si senta legata sia alla cultura orale somala che a alla tradizione letteraria italiana, vivendo, quindi, un doppio senso di appartenenza che viene fuori, soprattutto, ogni qualvolta ha un dialogo con la madre:

Mamma mi parla nella nostra lingua madre. Un somalo nobile dove ogni vocale ha un senso. La nostra lingua madre. Spumosa, scostante, ardita. Nella bocca di mamma il somalo diventa miele.
Mi chiedo se la lingua madre di mia madre possa farmi da madre.
Se nelle nostre bocche il somalo suoni uguale. Come la parlo io questa nostra lingua madre? […] Incespico incerta nel mio alfabeto confuso. Le parole sono tutte attorcigliate. Ogni suono di fatto è contaminato. Ma mi sforzo lo stesso di parlare con lei quella lingua che ci unisce. In somalo ho trovato il conforto del suo utero, in somalo ho sentito le uniche ninnananne che mi ha cantato, in somalo di certo ho fatto i primi sogni. Ma poi, ogni volta, in ogni discorso, parola, sospiro, fa capolino l’altra madre. […]L’italiano con cui sono cresciuta e che a tratti ho anche odiato, perché mi faceva sentire straniera.[…]L’italiano dolce degli speaker radiofonici.[…] L’italiano che scrivo.


Gli interrogativi che si pone Zuhra, sono dunque, emblematici della sua confusione, del suo non sentirsi alla stessa altezza e bravura della madre; il suo sentirsi ‘contaminatrice di suoni’ la blocca costantemente nella fluidità che vorrebbe avere per potersi esprimere al meglio:

Quando parla, mia madre è sempre gravida. Partorisce l’altra madre, la sua lingua. Mi piace ascoltarla. Mi fa viaggiare dentro di lei. Vorrei stare zitta per sempre, solo ascoltarla[…]invece poi devo parlare anch’io e ogni volta la mia voce esce titubante…ogni volta vorrei piangere, ma mi trattengo. A mamma piace il mio misto di somalo e italiano, dice che è la mia lingua. Io ancora me ne vergogno, però. Vorrei essere perfetta in ognuna delle due, senza sbavature. Ma quando ne parlo una, l’altra spunta sfacciata senza essere invitata. In testa cortocircuiti perenni. Io non parlo, mischio.

Questa miscela di lingue le provoca insicurezza, incertezza, perplessità, “perenni cortocircuiti in testa”, vergogna nel non sapersi destreggiare perfettamente in entrambe, come vorrebbe e come fa invece la madre che prende a modello.
La qualità che distingue l’impianto stilistico di Oltre Babilonia, si può cogliere nello spiccato espressionismo narrativo. La Scego, infatti, carica, volutamente, la scrittura di una forte corporeità come se questa dovesse somatizzare la realtà, come se volesse rendere il dolore, le ferite e le ulcerazioni attraverso la parola che non è mai documentaria o referenziale ma è sempre gravata di intensità interpretativa piegata spesso in accezione deformante. In particolare le scelte lessicali, soprattutto aggettivali vengono caricate di un’espressività aggiunta spesso funzionale a rendere le alterazioni drammatiche della realtà.[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

''Andare avanti, tornare indietro, fermarsi, perdersi.'' La memoria 'inventiva' nella scrittura di Igiaba Scego

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Mormino
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Palermo
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lingue moderne e Traduzione per le Relazioni Internazionali
  Relatore: Donatella La Monaca
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 92

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Parole chiave

memoria
creatività
autobiografia
autobiografismo
recupero memoriale
inventività
accaduto reale
ricostruzione a posteriori
scavo autoanalitico
travestimento inventivo

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