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Il Caso Fiat: un'analisi comparata

Il Progetto Marchionne

Nell’incontro di fine anno del 2008 con il management descrisse Sergio Marchionne spiegò che bisognava affrontare di petto una crisi che metteva a repentaglio l’assetto mondiale dell’auto e la sopravvivenza dei singoli gruppi industriali soprattutto quelli di piccole dimensioni, e affermò che era il momento per Fiat di decidere le sue sorti: continuare ad essere un protagonista mondiale dell’auto o venire risucchiata dalla prossima crisi.
In quel periodo anche Chrysler doveva affrontare la possibilità di un fallimento e tra le vie d’uscita c’era quella di scommettere su Fiat. La decisione finale fu proprio quella di scommettere sulla casa automobilistica italiana, con il benestare dell’amministrazione Obama, secondo la quale Sergio Marchionne parlava e pensava come un americano e aveva idee molto chiare sul risanamento dell’azienda.
Marchionne veniva visto come un manager con pieni poteri decisionali, il primo dopo la morte dell’avvocato Gianni Agnelli nel 2004, con le capacità e la volontà di dare una svolta e portare un risanamento dell’azienda, grazie anche all’introduzione di un nuovo modello di governance.
Dal 2004 al lancio della fiat 500 nel 2007, la sua gestione aveva avuto come obiettivo principale quello di contenere i costi, rivedere le responsabilità dei manager meno efficienti ed alleggerire anche il coordinamento del gruppo.
Oltre al riassetto finanziario del gruppo Marchionne diede una svolta decisiva alla conclusione del braccio di ferro con la General Motors per lo scioglimento dell’alleanza.
La caratteristica che ha riscosso più consensi in Marchionne è il suo stile manageriale sobrio, efficiente, spesso differente dall’impostazione tipica dei manager italiani, proprio perché focalizzato in primis ad affrontare i problemi di business.
sindacali: la sua cultura socialdemocratica lo rendeva molto attento al rispetto dei ruoli tra lavoratori e sindacati.
I rapporti tra Marchionne e l’Italia, però, iniziarono ad incrinarsi nel 2008 e ci fu una rottura definitiva con la crisi dell’auto nel 2009 e nel 2010, nonostante l’accordo di Fiat con una Chrysler messa alle corde dalla crisi, avesse contribuito a dare nuovo smalto alle sue doti manageriali.
Il 15 febbraio 2011 nell’audizione alla Camera dei Deputati, Marchionne spiegò che Fiat non aveva salvato Chrysler con un’azione fine a se stessa, ma non aveva avuto di fatto altra scelta che creare questa alleanza perché le due case automobilistiche da sole non era in grado di farcela contro gli altri colossi automobilistici nel mondo.
Marchionne tentò anche l’acquisizione di Opel, ma gli andò male perché, benché General Motors fosse anch’essa in un momento di crisi, non aveva nessuna intenzione di rinunciare al suo mercato europeo. In aggiunta Marchionne non aveva valutato l’avversione dei tedeschi a fare alleanze con gli italiani.
Così l’obiettivo si spostò verso un risanamento di Chrysler, con l’introduzione di nuovi modelli (la 200 e la 500 versione americana) e il risanamento dei conti della casa automobilistica.
Il 2010 è l'anno delle difficili vertenze, di Pomigliano e Mirafiori: l’idillio tra il manager e i sindacati è ormai incrinato
Ad aprile viene annunciato lo spin-off tra settore auto ed le altre attività industriali: Fiat raggiunge un accordo con Cisl, Uil e Ugl su Pomigliano che incide sui turni, dà una stretta al controllo sulle assenze dei dipendenti, ma che promette anche nuovi investimenti con la produzione della nuova Panda nello stabilimento. La Fiom, però, non firma. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Caso Fiat: un'analisi comparata

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Armentano
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Vera Palea
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 108

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