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Neurologia e sociologia del jazz moderno

Relazione tra creatività e disagio e malattie psichiche

Riportiamo, di seguito, un estratto da un lavoro di Antonio Preti e Paola Miotto, psicoterapeuti ed esperti di art therapy, dal titolo Creativity, evolution and mental illness. Il lavoro è stato ampiamente rivisto, integrato ed anche sovvertito, per certi aspetti, nella necessità di renderlo organico agli scopi di questo lavoro.
Ciò che è creativo è in qualche modo originario, distinguendosi dalla tradizione ma confrontandosi con essa. Originalità, creatività, eccentricità rispetto alla tradizione ed eccellenza nel produrre caratterizzano quelle personalità che chiamiamo geni. Queste personalità sembrano associarsi ad un più alto rischio di sofferenza psichica, sofferenza che può arrivare all’evoluzione più drammatica, cioè la morte per suicidio. Ricordiamo tra gli altri il poeta e scrittore Cesare Pavese, lo scrittore americano Ernest Hemingway, il filosofo Walter Benjamin, il pittore Vincent Van Gogh.
Il disagio psichico può essere occasione per una persona, in generale, di giungere a contatto, pur nella sofferenza, con aspetti del proprio Sé che altrimenti a lui resterebbero ignoti, come sono ignoti alla maggior parte delle persone ritenute "sane". Numerosi studi sulla creatività sottolineano l’importanza dell’esperienza della malattia mentale per lo sviluppo di quelle attitudini immaginative e di innovazione che sono caratteristiche della produzione creativa.
Petrarca, proprio agli albori del Rinascimento, ammise che "non esiste alcun ingegno se non mescolato alla pazzia" (dalla Epistola metrica a Zoilo).
Durante il Romanticismo il tema subisce nuova trasformazione ed è la sregolatezza della passione, che già aveva tormentato artisti come Michelangelo e Caravaggio, ad alimentare insieme il fuoco della creazione artistica ed il tormento della follia. Genio e follia formano quindi il binomio necessario per il produrre creativo fino alla leggenda dell’artista incompreso, tenuto per folle perché troppo eccentrico rispetto alla tradizione.
Durante il Positivismo, reazione al Romanticismo, la relazione fra genio e follia verrà indagata nella direzione opposta, nel tentativo cioè di comprendere cosa accomuni fra loro la creatività geniale, la devianza e la follia. Cesare Lombroso, padre della moderna criminologia, in quel periodo formulò l’ipotesi che un’unica relazione accomunasse il genio, il folle ed il criminale come tipi particolari di devianza dalla media della popolazione generale. Tale tendenza all’eccesso avrebbe base ereditaria e spiegherebbe il ricorrere nelle medesime famiglie di personalità eminenti per creatività e personalità bizzarre nei comportamenti.
In realtà la tendenza alla familiarità per la creatività e la familiarità per alcune malattie mentali è un dato riconosciuto, ma di cui si ignora la base costitutiva. Le ipotesi di Lombroso vennero dibattute con studi che ne confermarono in alcuni casi i fondamenti ed altri che ne contestarono la validità. Lo psichiatra inglese Havelock Ellis, per esempio, in uno studio condotto su oltre 2000 personaggi eminenti britannici rilevò solo il 5% di psicosi, contestando così le conclusioni di Lombroso, e affermando, al contrario, che il genio per essere tale richiede una adeguata integrità psico-fisica.
Studi successivi, condotti con metodologie più accurate, confermarono però che le professioni più creative, sia nel campo dell’arte che della ricerca scientifica, erano gravate da un maggior rischio di patologia mentale e di mortalità per suicidio. In particolare uno studio monumentale condotto in Germania, durante gli anni ’30 ma pubblicato solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, su oltre 5000 personalità di cui vennero indagate la biografia e i destini familiari, osservò un legame tra creatività artistica e disturbi dello spettro schizofrenico e tra creatività scientifica e ciclotimia. Tale associazione si estendeva anche ai discendenti, confermando la familiarità del legame. L’autrice dello studio, Adele Juda, suggerì l’esistenza di una specificità della trasmissione familiare del talento creativo.
Per esempio musicisti hanno per discendenti musicisti, matematici progenie con attitudini matematiche.
Negli anni ’60 lo psichiatra Karlsson condusse un analogo ed esteso studio fra tutti coloro che, nati in Islanda, erano citati nel Who ‘s Who, repertorio delle personalità eminenti. Karlsson osservò una familiarità elevata per schizofrenia nelle famiglie più eccellenti d’Islanda. Il rischio non riguardava specificatamente le personalità più creative ma i loro familiari. L’autore ipotizzò che il medesimo fattore di natura biologica trasmissibile per via ereditaria potesse favorire da una parte lo sviluppo di associazioni mentali inusuali e quindi creative, ma dall’altra implicasse un rischio maggiore di sviluppare malattie mentali.
Al di là dei risultati, il quesito sul legame fra creatività e psicopatologia rimane sempre aperto.
Secondo alcuni autori la relazione fra creatività e psicopatologia è solo apparente, influenzata da errori metodologici, dovuti al fatto che la maggior parte degli studi si basa su biografie. Le personalità che spiccano sulle altre sono anche più esposte alla rivelazione di particolari privati della loro vita, inclusa la presenza di malattie mentali, che normalmente, a causa dello stigma negativo che le contraddistingue, vengono occultate. Questo vizio da sovraesposizione condizionerebbe la apparente maggiore prevalenza di disturbi mentali tra le personalità eminenti per creatività. In realtà i disturbi mentali sono relativamente diffusi, coinvolgendo circa il 25% della popolazione generale.
Se la relazione tra creatività e psicopatologia è reale, in che modo la psicopatologia influenza l’espressione creativa?
Abbiamo detto prima che una delle caratteristiche della creatività è ottenere consenso per i propri prodotti. Secondo un’ipotesi, la malattia mentale favorirebbe l’autoaffermazione. In effetti esistono alcune situazioni nelle quali individui sofferenti di patologia mentale con tratti paranoidei non particolarmente grave, riuscirebbero meglio dei sani ad acquisire la leadership in un gruppo. Anche i maniaco-depressivi sembrano avere una particolare propensione ad eccellere, soprattutto quando provenienti da ceti sociali già avvantaggiati. Nell’anoressia nervosa si riconosce una particolare tenacia nel raggiungimento dei propri obiettivi, che potrebbe spiegare l’emergere di questi soggetti in professioni competitive come quelle delle ballerine o delle modelle.
Un’altra ipotesi sostiene che la malattia mentale favorisca di per sé la creatività. Al proposito sono citati come esempio la tendenza ad associazioni di idee inusuali nella schizofrenia, che favorirebbero l’emergere di idee originali, e ciò sembra vero almeno nel campo della ricerca scientifica in cui si contano alcuni grandi scienziati (un esempio è costituito dal nobel per l'economia Nash) che soffrivano di schizofrenia. Il flusso accelerato nella mania potrebbe anch’esso favorire la creazione artistica, soprattutto in campo letterario (Stream of consciusness di Joyce); l’accesso a stati meditativi ed al ragionamento potrebbe invece essere favorito dagli stati depressivi. E’ stato dimostrato in effetti che soggetti depressi, non gravi, hanno una maggiore capacità di giudizio rispetto ai sani, soprattutto in situazioni ambigue.
La malattia mentale potrebbe favorire la creatività in via indiretta, attraverso processi di disinibizione. Molti disturbi mentali, infatti, si accompagnano ad impulsività; questo potrebbe facilitare l’impegnarsi in progetti che altrimenti non verrebbero mai iniziati. Fenomeni di facilitazione sono peraltro descritti per specifiche capacità: esistono descrizioni cliniche di persone che dopo un ictus che aveva leso una parte ristretta della zona limbica, area deputata al controllo delle emozioni, avevano sviluppato interessi artistici, in particolare nel campo della pittura, che prima mai avevano coltivato. Particolare talento in ambito grafico sembrano possedere anche bambini autistici, peraltro privi di capacità relazionali.
Un effetto di tipo disinibitorio è riconosciuto anche per sostanze come l’alcool, la cocaina ed altri agenti psicoattivi (le "droghe"). Un numero ampio di poeti e scrittori, ma anche di pittori, soffrì di alcolismo (tra gli altri Hemingway). Un ruolo delle droghe è riconosciuto anche nella creatività nel campo della musica moderna, ma in questo caso è dubbio se abbiano agito in senso favorente la creatività o siano state usate a scopi autoterapici. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Neurologia e sociologia del jazz moderno

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Informazioni tesi

  Autore: Tiziano Paragone
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Conservatorio di Foggia
  Facoltà: Musicologia
  Corso: Jazz
  Relatore: Vincenzo Nini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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