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Le nuove frontiere delle organizzazioni criminali: un profilo socio-politico.

La mafia in Lombardia

La Lombardia rappresenta, sul piano economico, la macchina motrice di tutta l’Italia. È l’area più ricca della nazione ed è considerata tale anche dalle mafie, che la vedono come il luogo centrale in cui stabilirsi per i loro grandi affari e i traffici illegali che sono col tempo cresciuti in maniera vertiginosa:

“E così, con il passare degli anni, il morbo della criminalità organizzata ha talmente attecchito che ora la Lombardia è considerata da molti addetti ai lavori la quarta regione ad alta densità mafiosa dopo Sicilia, Calabria e Campania. Ma stupirsi oggi per quanto la situazione sia degenerata negli ultimi anni sarebbe da ipocriti. E, diciamolo, a questo punto correre ai ripari comincia a essere complicato.”

De Stefano, giornalista napoletano esperto di criminalità organizzata e autore di molte pubblicazioni su questo argomento, così prosegue: “Il quadro attuale è sconfortante perché è ormai evidente che anche a centinaia di chilometri dalle tradizioni capitali del crimine (da Palermo a Napoli, fino a Reggio Calabria) le cosche si comportano esattamente come fanno nelle regioni di origine. Minacciano, uccidono, si infiltrano nella politica, praticano estorsioni, spacciano droga. E, come è già accaduto nel Sud, lo Stato non sempre dà l’impressione di saper arginare un’avanzata che, nonostante le periodiche frenate imposte da indagini e arresti, sembra non conoscere ostacoli.”

Oggi sappiamo per certo che l’economia delle mafie non controlla soltanto le consuete attività illegali ma i boss gestiscono, sempre come spiega De Stefano,“una parte delle autorimesse e del commercio di automobili, dei bar, delle panetterie, dei pub e dei ristoranti, delle sale giochi, delle sale scommesse, delle società finanziarie. E poi gestiscono lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti, le discoteche, i locali da ballo e i night club (che danno la possibilità di far circolare la droga), le sale bingo, le società di trasporti e le pompe di benzina,i servizi di facchinaggio e di pulizia, i servizi alberghieri, i centri commerciali e le imprese edili”.

È Milano, con il suo hinterland abitato prevalentemente da operai e da immigrati meridionali di seconda e terza generazione, il luogo di maggior interesse per le cosche siciliane e calabresi e per i clan camorristici campani che, negli Anni Settanta, si saldano con le bande della mala meneghina cresciute all’ombra dei Marsigliesi (ai quali faceva riferimento Albert Bergamelli) e delle gesta di Renato Vallanzasca. Sono i tempi della Milano violenta descritta nelle decine di film di genere che proliferano nelle sale cinematografiche di terz’ordine dell’intera Italia. Sono i tempi del traffico di droga industrializzato, che corre parallelo alla nascita della “Milano da bere” protagonista - quindici anni dopo - delle inchieste di tangentopoli. Si fa strada Francis Turatello, che molte fonti indicano come figlio naturale del boss mafioso italo-americano Frank Coppola, noto come Frank “tre dita”. Di rapina in rapina, di sequestro in sequestro, cresce d’importanza e si mette alla testa di una banda composta in prevalenza da catanesi. Ha un obiettivo: controllare le bische e i locali notturni della capitale lombarda. Obiettivo che raggiunge, affidando parte dell’attività al suo vice, Angelo Epaminonda. Ha rapporti con tutte le organizzazioni criminali italiane, compresa la Banda della Magliana. Conosce anche Raffaele Cutolo, che durante la latitanza soggiorna spesso a Milano e che avrà anche un figlio Roberto, che in Lombardia (a Tradate) è vissuto fino al suo omicidio, dopo aver creato una sorta di filiale della Nco (la Nuova Camorra Organizzata). Turatello viene ucciso in carcere da uno dei fedelissimi di Cutolo, Pasquale Barra, e da altri detenuti. Un omicidio feroce: viene accoltellato e sventrato, i suoi organi interni presi a morsi dagli assassini.
A Milano soggiornano i più importanti esponenti di Cosa Nostra siciliana, da Gaetano Fidanzati a Luciano Liggio, che vivono praticamente indisturbati finanziando importanti opere edilizie, così riciclando i proventi del traffico di droga e delle estorsioni.
Una decina di anni dopo l’arresto di Turatello (1977), un’inchiesta della Procura della Repubblica di Milano svela i retroscena dell’infiltrazione mafiosa in Lombardia. Inchiesta che è conosciuta come “Duomo connection” e che porta la firma del pm Ilda Boccassini, oggi esponente di punta del pool antimafia della Procura milanese. Viene arrestato un geometra, Antonio Carollo, figlio di Gaetano Carollo, esponente della famiglia mafiosa siciliana della Resuttana ucciso a Liscate, piccolo comune della cintura industriale. Si scoprono anche i primi collegamenti tra mafiosi e politici, anche di primo piano, milanesi. L’obiettivo è quello di ottenere concessioni edilizie e appalti. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le nuove frontiere delle organizzazioni criminali: un profilo socio-politico.

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Informazioni tesi

  Autore: Roberta Onelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Cassino
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Fedele Cuculo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 94

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